Valerio Mastandrea torna (in realtà il suo è quasi un debutto) alla fiction e tratta un tema decisamente toccante. Un uomo scopre di avere un tumore, come affrontarlo? La serie andrà in onda sulla terza rete di Casa Rai e racconta la storia di un uomo qualunque. “La linea verticale” è il titolo del lavoro di Mattia Torre, in partenza dal 6 su Raiplay, e dal 13 gennaio su Rai3. Otto puntate che raccontano una realtà vera e realistica: “In quel mondo ospedaliero di cui ognuno di noi, direttamente o meno, ha avuto esperienza”, racconta il soggettista, sceneggiatore e regista. Una esperienza autobiografica che proprio Torre aveva già raccontato in un libro e Mastandrea ha fortemente condiviso essendo un suo caro amico: “Del resto la sua vita e la mia hanno corso su binari paralleli: negli stessi anni abbiamo trovato la compagna, siamo diventati padri, abbiamo perso i nostri padri Quando lui si è ammalato, però, gli ho detto Eh no, questo no”, ha confidato l’attore intervistato dal Giornale. Il malato raccontato nella fiction, affronta il suo male dal suo letto e non è mai al centro della sua storia: “La racconta quindi cogli occhi, che diventano gli occhi del pubblico”.



Valerio Mastandrea, il debutto nella fiction TV

Con Valerio Mastandrea, anche un ricchissimo cast che racconta in prima persona: “Il paziente che pretende di saperne più dei medici (Giorgio Tirabassi), la caposala efficiente e inflessibile (Alvia Reale), il primario carismatico, che per i pazienti è un semidio (Elia Schilton), il prete che predica bene fino a che ad ammalarsi non è proprio lui, e la sua fede vacilla (Paolo Calabresi)”. La linea verticale, porta la fiction ospedaliera in prima serata, dopo l’esperimento (decisamente molto riuscito) di Braccialetti rossi: “Non conta il tema, ma come viene trattato. Se la gente avrà la fortuna di vedere la prima puntata, seguirà anche le altre”. L’attore poi, racconta per quale motivo non si è mai catapultato dentro le fiction (la prima esperienza nel 2006 con Marco Giallini): “Avevo un pregiudizio – ammette – Poi ho capito che la tv, molto più del cinema, può essere lo strumento adatto a raccontare le cose da un diverso punto di vista. Fino ad arrivare a smuovere le coscienze. E mi sono reso conto che è un buon campo dentro cui giocare questa partita”. 25 anni di carriera e la felicità – oggi – di potere scegliere: “Cioè decido di fare cose che è difficile fare: questo intendo per scegliere. Lo preciso perché non vorrei passare per quello che tutti lo chiamano e invece lui se la tira”. E sulla sua espressione eternamente insoddisfatta non obietta e confida che si tratta di un fatto caratteriale: “Invecchiando pensavo di acquistare più certezze. Invece i punti riferimento diminuiscono. Così ho ancora paura di volare. Ma non me ne accorgo”.

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