Se l’unica cosa che sembra interessante di Tutti i soldi del mondo è la prova di Christopher Plummer non è solo colpa della curiosità dello spettatore dopo la sostituzione di Kevin Spacey per lo scandalo molestie sessuale (ne avevamo già parlato, qualche tempo fa su queste pagine), ma di Ridley Scott in primis, e poi della produzione, che non sono riusciti a realizzare un film abbastanza soddisfacente e trascinante da oscurare il versante scandalistico (è di pochi giorni fa la notizia di una grava disparità di compensi per le scene aggiuntive tra Michelle Williams e Mark Wahlberg).
Ed è un peccato perché il potenziale era di prim’ordine: un libro di successo di John Pearson (appena pubblicato in Italia con lo stesso titolo del film), una vicenda di cronaca che ha appassionato il mondo intero, un intreccio di famiglia, denaro e potere da saga romanzesca. David Scarpa scrive la vera storia del rapimento di John Getty III, nipote del primo John Getty, uomo ricco e avidissimo, e delle indagini per il rilascio.
È una storia sul lato oscuro del capitalismo finanziario, un thriller familiare e sottilmente politico che Scott decide di declinare secondo i moduli del film-inchiesta, anticipando così anche l’interesse della tv (sulla stessa vicenda e della stessa famiglia si occupa anche l’imminente serie “Trust” diretta da Danny Boyle). È interessante quindi che il modello non sia l’adrenalina hollywoodiana, ma il cinema civile italiano degli anni ’70: per il look certo, nonostante una ricostruzione storica non sempre impeccabile, ma anche per la messinscena, le scelte narrative, l’andamento quasi giornalistico che cerca di romanzare poco e lo scontro di classi sociale in cui giganteggia la figura di Getty sr.
Il quale, come detto, rischia di mangiarsi il film suo malgrado, dato che la prova di Plummer è abbastanza di mestiere e gli escamotage registici per sovrapporlo a Spacey a volte sono un po’ goffi (si nota persino un green screen con una scena vecchia da cui si è cancellato Spacey), ma il personaggio è ambiguo il giusto per affascinare con la sua aura tragica. Peccato che attorno a lui Scott abbia creato un film fiacco, che di quel cinema civile, soprattutto del cinema grezzo, magari sciatto ma efficace di Giuseppe Ferrara, ha tutti i difetti e nessun pregio. A Tutti i soldi del mondo mancano il piglio narrativo, il senso di urgenza e di immediatezza, la vibrante tensione di cui la sceneggiatura si dovrebbe nutrire e pure gli elementi minimi del cinema di Scott, ovvero la perizia registica, la forza visiva e l’eleganza luministica, come dimostrano quasi tutte le sequenze coi banditi peggiorate da un assurdo doppiaggio: un film privo di regia e quindi di cinema.
A dare all’opera la forza che lo solleva dalla totale mediocrità è l’interpretazione di Williams, dipinta come la madre coraggio di tanti cliché (appunto) giornalistici, ma che sa infondere al personaggio forza e spirito. Ma non solleva il film dall’essere un film di parole e attori, praticamente senza immagini. Un radiodramma, in poche parole.