IL PROLOGO DI DARIO FO A “MISTERO BUFFO”

La riscoperta delal figura del giullare nella tradizione popolare (troppo spesso snobbata dagli studiosi) e il suo legame con una dimensione sacrale: sono questi due dei temi che dal prologo che Dario Fo fece in occasione dell’ultima rappresentazione del “Mistero Buffo”, nell’agosto del 2016. E la trascrizione di quel prologo è diventata anche la prefazione di un nuovo volume dedicato al capolavoro del drammaturgo ed attore varesino, edito per i tipi di Guanda e che sarà pubblicato il prossimo 25 gennaio, prima uscita di una serie di ristampe che riguarderanno tutte le opere di Fo. E proprio il testo che è stato reso pubblico in questi giorni fornisce una interessante chiave di lettura per capire in cosa sia consistita quella riscoperta portata avanti dal Premio Nobel per la Letteratura e quali siano gli aspetti che più gli stavano a cuore in questa ricerca a ritroso nel tempo di quale sia stata l’origine e l’importanza del giullare per la cultura popolare nelle epoche passate.



LE GIULLARATE E LA CULTURA POPOLARE

“Sono più di sessant’anni che sono sul palcoscenico” esordisce Dario Fo nel prologo che appare nell’edizione Guande di “Mistero Buffo”, ricordando come il segreto della sua carriera sia stato sempre quello di ascoltare il pubblico: e l’ascolto degli spettatori, nonché quel particolare legame che si instaura tra chi è sul palco e la sua platea, è alla base di quello che il compianto attore originario di Sangiano chiama il ritmo che si stabilisce durante la rappresentazione. E in relazione a questo, ricorda Fo, straordinaria fu la prima rappresentazione dell’opera nel 1969, presso l’Università Statale di Milano, e che portò a un coinvolgimento e a una “esplosione festosa” che lui e Franca Rame non si aspettavano. “Avevamo rovesciato un luogo comune invalicabile, volevamo dimostrare che nel nostro Paese non esistono solo la poesia e la cultura aristocratica ma anche quella popolare” dice Fo, ricordando anche le reazioni perlesse di molti accademici che accusarno lui e la consorte di fare mere “giullarate”, peraltro non basate su testi autorevoli ma solo su invenzioni personali. Eppure, dice ancora il Premio Nobel, per bloccare queste stroncature sarebbe bastata a lettura di “Fabliaux: racconti francesi medievali” di Rosanna Brusegan e che raccoglieva testi risalenti all’anno Mille. Da quella ricerca e anche da testi apocrifi, o tramandati solo oralmente, è nato poi “Mistero Buffo” e il diretto interessato tiene a precisare l’origine del termine: “Apocrifo non significava falso, eretico o blasfemo ma solo che non era inserito nei Vangeli ufficiali”.



I VANGELI APOCRIFI E LA LORO “MESSA IN SCENA”

Insomma, nella prefazione al libro di Guanda che verrà pubblicato il prossimo 25 gennaio, Dario Fo ricorda ancora come, a differenza di quelli ufficiali, nei Vangeli apocrifi non vi sia quel “vuoto” tra l’infanzia di Gesù e la sua ricomparsa, da adulto, sulle rive del Giordano, ma vengono narrati una serie di episodi che poi ogni singolo comunità cristiana “metteva in scena” e cercava di sviluppare a modo suo, come ad esempio quello riguardante il primo miracolo di Gesù Bambino. “Questa giullarata” continua ancora Fo, “tratta un episodio davvero poetico dell’infanzia di Cristo, una testimonianza che ne VI secolo, in Oriente, veniva normalmente raccontata dai diaconi e dai giullari ai fedeli che affollavano le chiese”: inoltre, tale tradizione resiste ancora oggi, dato che tale recitazione anima alcune sagre in Irpinia e nel Salento. Insomma, una ricchissima tradizione, spesso orale, che affonda le sue radici nella cultura popolare e che secondo Fo, negli Anni Sessanta e Settanta era snobbata erroneamente dalla cosiddetta cultura alta. La stessa che bollò superficialmente “Mistero Buffo” come giullarate improvvisate da parte sua e di Franca Rame.

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