Tra i primati che il RMS Titanic, il transatlantico classe Olympic di proprietà della compagnia White Star Line, può vantare all’uscita dai cantieri navali Harland & Wolff di Belfast il 31 marzo 1912 ci sono i 269 metri di lunghezza, i 28 di larghezza e i 53 di altezza, insieme alle più di 46.000 tonnellate di stazza e alle 59.000 di peso totale. Nonostante la capacità di oltre 3.500 unità, sono poco più di 2.200 le persone a bordo durante il viaggio inaugurale che il 10 aprile parte da Southampton verso New York, di cui quasi 900 membri dell’equipaggio e oltre 1.300 passeggeri tra 1ª (329), 2ª (285) e 3ª classe (710). 



Nella notte senza luna e di calma piatta tra il 14 e il 15 aprile, lo scontro alla velocità di 20,5 nodi (38 km/h) con un iceberg avvistato solo all’ultimo apre però sei diverse piccole fessure lungo la fiancata destra segnando così il destino del bastimento, che si compie in capo a quasi tre ore, con lo spezzarsi dello scafo in due tronconi, il successivo inabissarsi di entrambi e il loro posarsi sul fangoso fondale oceanico a quasi 3.800 metri di profondità, 650 chilometri a sudest di Terranova: solo poco più di 700 persone si salvano, mentre oltre 1.500 periscono nell’incidente. A partire da allora si sono succeduti trasposizioni cinematografiche e televisive, romanzi, libri, fumetti e canzoni su questa leggendaria nave di linea. 



Quanto alle prime, e tra queste quelle per il grande schermo, la più celebre è senza dubbio Titanic: scritta, co-prodotta, diretta e co-montata da James Cameron, costata oltre 285 milioni di dollari tra produzione e promozione, proiettata in anteprima a Tokyo e Londra nel novembre 1997 e a Los Angeles a metà dicembre, la pellicola sbarcava nelle sale italiane vent’anni fa, venerdì 16 gennaio 1998: allora non ci si poteva immaginare che avrebbe superato i 2 miliardi di dollari di incasso su scala mondiale, grazie sia alla versione 2D che a quella 3D uscita nell’aprile 2012 per il centenario del naufragio. 



Come affermato dal suo autore, «[è] una metafora sull’inevitabilità della morte. Siamo tutti sul Titanic. La tragica quintessenza del XX secolo. Il Titanic è un grande simbolo dell’avidità e dell’arroganza umana […]. Un emblema della fine di un’età innocente, della fiducia nel progresso e nel futuro». Del tutto ossessionato sia dal traumatico evento che dal relitto del vero transatlantico (localizzato con precisione solo nel 1985), Cameron ha impiegato cinque anni di lavoro (tra sceneggiatura e montaggio) per restituire questa vicenda come un “Romeo e Giulietta” ambientato sull’Atlantico: «Il pubblico doveva conoscere ed amare questa nave come un vero e proprio personaggio: durante la prima parte del film tutto doveva essere fotograficamente luminoso, aereo e brillante […]. Volevo che il pubblico salisse a bordo insieme ai protagonisti, e condividesse il loro ottimismo pur conoscendo già il destino della nave. Per ottenere questo risultato abbiamo sviluppato uno stile-non stile, in cui i colori sono realistici: una interpretazione organica e credibile delle dinamiche drammatiche. E poi abbiamo adottato una luce più azzurra e fredda per il presente […] anche se la vecchia Rose è sempre immersa in una luce più calda e bianca. E le luci si sono ancora andate raggelando con le immagini del naufragio, mentre la cinepresa – muovendosi nei corridoi della nave – assumeva movimenti sempre più nervosi e meno eleganti […] per generare un senso di panico incombente». 

I primi 120 minuti assolvono alla perfezione il compito di presentare senza fretta i personaggi principali (con annessi caratteri), in modo di far salire a bordo del Titanic di celluloide, coinvolgendolo emotivamente, anche il pubblico: in tal modo, quando iniziano gli stupefacenti 60 minuti finali, con loro ci sono ormai tutti gli spettatori. Come detto, i temi predominanti sono l’ineluttabilità del destino e l’illusorietà (di una certa idea) della grandezza dell’uomo. A questo proposito, del moltissimo che si potrebbe citare, ci si limita a ricordare la sequenza in cui Wallace Hartley, primo violino e direttore dell’orchestra di bordo, avvia l’inno religioso “Nearer, My God, to Thee”, richiamando istintivamente tutti i colleghi che aveva appena congedato: su questa melodia, le immagini proposte da Cameron sono quelle del comandante Edward John Smith che, deciso ad affondare con la “sua” nave, si chiude in cabina di comando; del progettista Thomas Andrews che, ceduto il proprio salvagente a Rose in fuga con Jack e rimasto anch’egli a bordo, sistema l’orologio della sala fumatori mentre gli oggetti gli scivolano intorno; degli anziani coniugi Isidor e Ida Straus stretti in un ultimo abbraccio distesi sul letto della loro cabina mentre l’acqua già scorre lungo il pavimento; di una madre che ha messo a dormire e tranquillizza come può i suoi due piccoli bambini; del magnate Benjamin Guggenheim che, indossati gli abiti di gala «per morire da signore» (quale esponente della nuova classe capitalista ed esempio dell’arroganza positivista), viene mostrato per l’ultima volta con gli occhi sbarrati in un misto di sorpresa e orrore. 

Un atteggiamento e un’espressione, questi ultimi, che differiscono da quelli del primo ufficiale William McMaster Murdoch, il quale, nel (vano) tentativo di far imbarcare sulle (insufficienti) scialuppe il maggior numero di persone possibile, preso dal panico mentre impugna una pistola con l’unico intento di riportare l’ordine tra i passeggeri, ne colpisce uno: del tutto impotente e in colpa, si punta allora l’arma alla testa e preme il grilletto. Sono solo alcuni volti, tra i tanti (troppi) posti di fronte alla medesima tragedia, alla stessa, ineluttabile “chiamata”: i volti di questo Titanic.