Finito il 2017 e iniziato il 2018, gli esperti tornano a fare bilanci sugli ascolti e sul pubblico della tv e degli schermi di ogni tipo, azzardando anche qualche previsione su cosa succederà nella battaglia tra tv generalista tradizionale e nuovi media. Il vostro vecchio Yoda ha trovato un’eccellente sintesi in un bell’articolo del Sole 24 Ore a cura di Andrea Biondi, che prende spunto da una serie di dati pubblicati da diversi studi. “C’è un dato fra quelli elaborati dallo Studio Frasi su base Auditel – scrive Andrea Biondi – su cui occorre soffermarsi per analizzare il mercato tv in Italia nel 2017. L’ascolto complessivo di televisione da televisore è sceso nell’anno (i dati prendono a esame il periodo 1 gennaio-16 dicembre) del 2% nel giorno medio e del 3% in prime time. E così durante tutto il giorno la media dei telespettatori davanti al piccolo schermo è scesa a 9,84 milioni. Sotto i 10 milioni: soglia critica, sotto la quale non si è mai scesi”.
Non è tanto difficile capire cosa sta succedendo: è noto da tempo che il pubblico della tv generalista è sempre più anziano, in particolare quello della Rai. Quello di Mediaset è più giovane, in quanto riesce a catturare un certo numero di adolescenti grazie a programmi che rasentano il trash come Il Grande Fratello e quelli di Maria De Filippi, che quanto a trash non sono da meno. A parte il calo generale che indica un trend oramai inevitabile, apprendiamo che le due grandi reti generaliste, Rai1 e Canale 5, sono rimaste sostanzialmente invariate, mentre complessivamente il mercato risulta fermo quanto ad ascolti e pubblicità, “con la tv che comunque vale ancora quasi la metà della torta degli investimenti pubblicitari comprensiva anche di Google e Facebook”. Ne consegue che gli editori tradizionali cercano di mantenere la loro rendita di posizione, rallentando il più possibile un reale approccio ai cosiddetti nuovi media.
In questa progressiva dissolvenza di passaggio al futuro, stanno prendendo molto lentamente piede i cosiddetti neocanali come Rai4, Rai5, RaiMovie, Rai Premium, RaiYoYo (Rai), Cielo e Tv8 (Sky), Nove (Discovery), Iris (Mediaset), Paramount Channel, Cine Sony e altri ancora. A ben guardare, se si escludono le grandi reti generaliste, chi per esempio è a caccia di film, può scegliere quasi ogni sera (e anche durante il giorno) tra almeno 10 diverse opzioni gratuite perché pagate dalla pubblicità. In questo contesto segnano un po’ il passo le pay TV consolidate come Sky e Mediaset Premium, anche per l’arrivo prepotente di Netflix, che con un abbonamento mensile di soli 10,90 euro offre una sterminata proposta di serie tv e di film. Come se non bastasse, in poco tempo è tutto un fiorire di offerte analoghe, come Apple TV, Chili, Timvision, Infinity, Amazon TV, dedicate principalmente a chi ama fruire i contenuti audiovisivi tramite PC, ma che tramite un piccolo decoder possono essere viste anche sul normale televisore di casa, oramai sempre più grande e assimilabile a uno schermo cinematografico.
Non è difficile prevedere un’evoluzione più rapida che nel recente passato, in quanto si potranno presto incrociare una serie di cambiamenti: da un lato anche gli anziani si riveleranno sempre più capaci di gestire pc e decoder, i telespettatori più vecchi scompariranno per motivi anagrafici, e i giovani si concentreranno sui media maggiormente in grado di fornire contenuti a loro graditi. In questo senso è cominciata già da tempo una grande battaglia nel realizzare serie tv di grande appeal, che non hanno nulla da invidiare al grande cinema, e che possono sopportare grandi costi di investimento grazie al fatto di potere essere sfruttate su scala mondiale. Inoltre, sono più gradite al pubblico giovane che non ama concentrarsi su uno stesso programma per troppo tempo.
C’è da dire che alla proliferazione di neocanali per il pc non corrisponde una altrettanta ricchezza di programmazione (basta infatti dare un’occhiata ad Amazon tv, per esempio), perché un bel catalogo costa davvero molto. Yoda non riesce a comprendere quale sia il modello di business di chi investe in editori capaci di offrire proposte audiovisive marginali o limitate. Ecco perché chi dispone di grande capacità finanziaria, come ad esempio Amazon, pare si stia interessando all’acquisto di Netflix, a sua volta assai indebitato per aver investito molto in un grande catalogo di buona qualità. Così anche in questo settore le leggi della domanda e dell’offerta plasmeranno un mercato con meno player di buon livello. E Amazon assomiglierà sempre di più al Grande Fratello.
Mentre il mondo della tv è in grande movimento, potremmo dire che l’avvicinarsi delle elezioni sta provocando sull’argomento un vero e proprio subbuglio tra i politici, anche dello stesso partito. Renzi, Orfini e Anzaldi (Pd) pensano sia una bell’argomento da campagna elettorale proporre l’abolizione del canone Rai o la sua privatizzazione, mentre Carlo Calenda – che sembra essere l’unico di quel gruppone ad avere la testa sule spalle – pensa che simili proposte siano una presa in giro. Davvero curioso poi che una simile proposta provenga da un ambiente politico che non ha mai lesinato in raccomandazioni per assunzioni o favoritismi a produttori di cinema e fiction di stretta osservanza politica, gravando da sempre sui costi dell’azienda pubblica. La stessa legge Franceschini, che obbliga le reti tv a trasmettere una certa percentuale di film italiani, dimostra un pensiero dirigista e statalista ben poco coerente con le improvvise aspirazioni neo-liberiste. Ma che volete, non è solo Yoda a pensare che da qui alle elezioni di promesse ne vedremo un bel po’, anche e soprattutto quelle del tutto simili “a una presa in giro” come ha affermato il ministro dello Sviluppo economico.