August Pullman, detto Auggie, è un bambino con la sindrome di Treacher Collins, che lo ha costretto in un viso deformato fin dalla nascita. Rinchiuso nel privato familiare, decide di affrontare il mondo esterno con l’inizio della scuola media. Divorato dalla paura di non essere accettato, affronterà, con la forza della sua affettuosa famiglia accanto, il lungo viaggio per sentirsi diversamente unico. 



Wonder è la meraviglia della speranza e del coraggio. Quello di un bambino che soffre per la sua deformante diversità e che lotta per essere normale o, meglio, per essere inevitabilmente diverso ma sereno. Siamo nei paraggi della rassicurante melassa natalizia e questo è evidente fin dalle prime scene. Ma c’è del buono in questo film, tratto dall’opera prima di Raquel Jaramillo Palacio, scrittrice statunitense che ha conquistato milioni di lettori.



A rileggere la storia per il grande schermo è Stephen Chbosky, l’acclamato regista di Noi siamo infinito, che già dal suo primo film si è distinto per uno spiccato realismo dei pensieri e dei sentimenti, che torna a dominare i personaggi e lo spettatore in un “ricatto” emotivo da cui è difficile sfuggire. La fragile insicurezza di Auggie è struggente. In lui vediamo la forza di un giovane eroe pervaso da una diversità che è impossibile nascondere, se non, saltuariamente, dentro al rassicurante casco di un astronauta. Il mondo ti guarda, ti osserva, ti compatisce, punta il dito, distoglie lo sguardo. Sei solo, nonostante l’amorevole presenza di una famiglia perfetta.



Auggie è Jacob Tremblay, il piccolo promettente attore di Room, che anche qui offre un’interpretazione mirabile, offrendo all’originale racconto la capacità di scendere nei più profondi abissi della sofferenza o di volare nei più elevati e luminosi cieli della felicità. Seguiamo, in un’altalena di sconfitte e di successi, il vero dramma di un bambino al suo battesimo della vita, fuori dal protettivo abbraccio della famiglia. Scorrono copiose le lacrime protettive di chi è attorno, e fatica a credere davvero alla meraviglia di una differenza invalidante.

Ma mamma e papà Pullman, nei premurosi gesti di Julia Roberts e Owen Wilson, sono sempre lì, valorosi pianeti di un sistema solare che ruota attorno alla sua stella, chiara e luminosa fin dalla sua nascita. Un astro che dà luce e oscurità, al variare del suo umore. L’universo di Auggie è fatto di tanti piccoli grandi eroi, fuori dal comune e dal reale, ritratti perfetti (e innaturali) di un’umanità virtuosa, fonte infinita di comprensione, pazienza e sensibilità.

C’è la mamma a tempo pieno, sorgente inesauribile di affetto e di sorrisi stellari. C’è il papà, uomo sensibile oltremisura, prodigo di amore e di saggezza da manuale. C’è la sorella, ultimo carro familiare, pronta a offrirsi generosamente sull’altare sacrificale. C’è il preside, illuminato, in una scuola d’eccellenza e il professore, vivace intelligenza emotiva e voce ispirazionale. E infine ci sono gli amici, tentati dal bullismo, ma pronti ad accogliere magicamente il dolce scherzo di natura. 

L’orchestra del paese delle meraviglie funziona alla perfezione, attorno al viaggio impossibile di Auggie, perfetto anche lui, nella sua capacità di sorridere, di credere, di sognare, di rialzarsi, ogni volta, di fronte ai muri invalicabili per chiunque altro al mondo. E infine di insegnarci, con sapiente relativismo, che “qualunque persona che incontri, sta combattendo una dura battaglia”. 

Wonder, dopo tutto, è un film emozionante ma molto, troppo, buonista. Una terapia dell’abbraccio per un Natale in famiglia: per essere più sereni, più uniti e per imparare da chi è più sfortunato di noi. Troppo bello per essere vero.