Colorado Springs. Anni ’70. Ron Stallworth è il primo agente afro-americano del Dipartimento di Polizia della città. Una scelta coraggiosa per lui ma anche per il Dipartimento, in un’America ancora dominata da pregiudizi e chiusure razziali. Stufo di lavorare all’archivio, e di subire le ironiche attenzioni dei suoi colleghi bianchi, Ron chiede di diventare agente sotto copertura, per smascherare l’attività illegale e sovversiva del Ku Klux Klan, un’organizzazione razzista infiltrata e resistente tra le pieghe di una società in fermento, divisa tra conservazione e cambiamento. La sua missione, eroica e coraggiosa, lo porterà a contatto diretto con i leader del movimento, a scoprire piani segreti e criminali e a instaurare con essi una relazione quantomai improbabile.
Preparatevi a della “fott*ta roba fott*tamente vera” recita il super all’inizio del film, uno tra i migliori del regista afroamericano, nato alla fine degli anni Cinquanta e cresciuto negli anni della rivoluzione pacifista. Fedele al suo percorso narrativo, Spike Lee ci immerge nelle intramontabili difficoltà dell’integrazione razziale. BlacKkKlansman è il suo grido di denuncia di un passato che ritorna. Ora, come allora, in America, la vita può essere molto diversa se si nasce bianco o nero.
Spike Lee apre il suo film con un’invettiva razzista, spunto ideologico del Ku Klux Klan, che fa venire i brividi: all’orizzonte il pericolo della contaminazione delle razze, dei matrimoni misti, della corruzione delle anime da parte dei neri, considerati dei criminali, stupratori e bugiardi. Un’America malata, destinata a divenire una nazione di bastardi, condannata a perdere il sogno realizzato di una vita meravigliosa e felice, libera da quelle che non esita a chiamare bestie.
Un razzismo convinto, ideologico, ottuso e inquietante. Quello dei vergognosi membri del Ku Klux Klan, movimento nazionalista già molto diffuso negli anni ’20 dello scorso secolo, e quello, più velato, ma altrettanto inquietante, che si respira nelle parole, nelle azioni e nelle manifestazioni di molta società contemporanea, raccontata con le immagini americane degli scontri di Charlottesville, del 2017, tra neonazisti e oppositori.
La storia vera, di Ron Stallworth e Flip Zimmerman, i due coraggiosi protagonisti, è un capolavoro di investigazione e di camuffamento. Due persone, in una, capaci di stringere la mano ai vertici di un’organizzazione fuori tempo, ancorata nel passato e deviata dall’abominevole cultura dello schiavismo e della superiorità elettiva della razza bianca. Mentre il mondo, tra gli anni Sessanta e Settanta, cambiava direzione, c’era ancora qualcuno che puntava il dito dell’odio contro qualcun altro. Forse pochi, sparuti vigliacchi, inorgogliti dal gruppo e fomentati da un rancore senza alcun senso. Pochi ma comunque troppi, sopportati o perfino supportati da una società non così ostile al razzismo. Portatori di un sentimento barbaro quanto umano, costitutivo dell’uomo e del suo bisogno di tribù e di nemici. Un sentimento mai sopito e, purtroppo, sempre pronto a riaccendersi, istigato dal sogno trumpiano di un’America che non c’è più: “Make America Great Again”.
BlacKkKlansman è una storia memorabile nella lunga e circolare storia dell’umanità. Ci insegna a non dimenticare, ci insegna il coraggio, ci insegna la determinazione, ci insegna la follia. Al grido di Black Power, le armate di colore si difendono dall’attacco dei bianchi, fomentati da leader inneggianti al White Power, difensori del passato scaduto e nostalgico e dei suoi simboli, della crostata di ciliegie e degli hot dog.
Spike Lee ci trascina nel vortice meraviglioso della ribelle cultura afroamericana che trovava, in un lungo e mirabile decennio di cambiamenti, la forza di alzare la testa, fiera della propria differenza e della propria storia. Lo fa attraverso un racconto militante e sofferto, ma anche leggero e divertente, mixando con abilità il bisogno di denuncia e quello di intrattenimento, accompagnando lo spettatore con musiche trascinanti, sorprendenti costumi vintage e improbabili capigliature.
Un film piuttosto equilibrato, che perde un po’ di credibilità storica nella scelta narrativa, ma che ci ricorda con preziosa puntualità che la storia è fatta di gruppi ma anche di singoli. Che ogni giorno possono girarsi indietro o guardare avanti. Dividere o unire. Recriminare o continuare a sognare.