Fabio Testi è una stella della galassia del cinema. Ha 76 anni, è vero, ma non ha mai smesso di brillare. Lui si sente giovane a tutti gli effetti: lo dimostra il suo recente matrimonio, celebratosi lo scorso anno sul lago di Garda. La fortunata? Antonella Liguori, affermata gallerista d’arte. Ma a La Verità racconta soprattutto della sua carriera. “Sono nato a Peschiera, a poche centinaia di metri dal punto dove c’era questa nave, insieme ai gusci di battelli austriaci in disuso”. Testi recitò da comparsa in uno di quei film. La nave era il galeone di Ulisse, che Bertolazzi trasportò sin da Fiumicino. “I francesi giravano serie televisive in bianco e nero, e noi studenti ci divertivamo a fare i pirati. Ci pagavano 3.000 lire al giorno, una cifra!”. Da Roma, poi, venivano gli acrobati, a cui lui si univa nel tentativo di imitarli. Il primo film da protagonista arrivò con Demofilo Fidani: “Era l’architetto in una delle pellicole che avevo già girato”. Lui lo notò subito, e lo volle anche se non aveva esperienza. Poi venne l’amicizia con De Sica: “Dico sempre che ci sono due generi di registi: quello che ama gli attori e quello che li odia. De Sica, essendo nato attore, li amava”.



Gli esordi di Fabio Testi

Il film più importante fu Addio fratello crudele di Giuseppe Patroni Griffi. Una tragedia shakespeariana molto dura, me la sono portata appresso per molto tempo. Peppino era un uomo di grande cultura, ma aveva anche un caratteraccio. Abbiamo anche litigato, però, da uomo intelligente, chiarite le cose, siamo diventati molto amici”. I suoi veri rivali erano altri: Franco Nero e Giuliano Gemma. Come l’ha vissuta? “Eravamo sempre noi tre in lizza per certi film. Però non ho mai sofferto di invidia, anche perché sia Giuliano che Franco venivano da una serie di western che li avevano stereotipato come personaggi del Far West”. Con Jean Gabin, l’italo-francese, andava più d’accordo: “Era uno dei pochi attori italiani a lavorare in Francia. Mi insegnava gli accenti, si metteva a disposizione”. E non solo: “Mi ha anche trasmesso la passione per la campagna”.

Critiche al piccolo schermo

È da un po’ che non lo si vede in giro, né in sala né in tv. Non c’è da stupirsi: la situazione del cinema italiano è “terribile”. “Con l’avvento delle tv commerciali chiamavano noi per rendere credibili gli sceneggiati. Ci pagavano bene, ma è stata un’arma a doppio taglio. La televisione ha monopolizzato tutto“. Perché, adesso, nessuno li cerca? “Quando la televisione si è affermata, ha lasciato a casa i professionisti e ha preso i giullari di corte. Non ci chiamano perché noi siamo in grado di constatare l’incapacità totale, la non professionalità, le raccomandazioni. Ti lasciano a casa perché non devi vedere quello che fanno. [] Siccome in televisione non paghi il biglietto, va bene tutto, collochi un prodotto alle otto e mezzo di sera e stai certo che il pubblico lo segue”. Il prezzo da pagare, d’altra parte, è solo quello della qualità.

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