Ucciso per un cognome: Silvio Badalamenti ha pagato caro il suo collegamento con il boss mafioso Gaetano. Uno zio conosciuto per il suo ruolo nella mafia e da cui il direttore delle esattorie di Marsala ha preso le distanze da sempre. La figlia di Silvio Badalamenti, Maria, ne parla nel libro “Sono nata Badalamenti”, pubblicato con DM Edizioni, una raccolta di memorie in cui spiega perché il padre ha deciso di stare alla larga da tutti i parenti coinvolti con Cosa Nostra. Una storia che ci riporta indietro a prima degli anni Ottanta e dell’uccisione dell’imprenditore, fino a quella Cinisi inginocchiata di fronte a un clan sempre più spietato. Maria Badalamenti ne parlerà a Italia sì oggi pomeriggio, su Rai 1. Ripercorrerà ancora una volta quel primo incontro con don Tano, il prozio venerato da tutta la famiglia e che Silvio guarderà sempre con sospetto.



MARIA BADALAMENTI E LO ZIO GAETANO

Non ci sarà mai un legame affettuoso anche fra Maria e il boss Gaetano, per via di una tazzina di caffè bollente che, bambina, gli tirerà addosso per vendicarsi di un gavettone fatto al padre. Per don Tano quella piccola di soli sei anni diventerà anche per gli anni a venire “a sirbaggia”, la selvaggia. “Lui era diverso da loro”, riferisce a La Repubblica, “mio padre non era un mafioso”. L’intera esistenza di Silvio Badalamenti dimostra infatti come fin dalla giovane età non vorrà far parte di quella famiglia mafiosa. Studia, si laurea, diventa direttore delle esattorie e mette su famiglia. Casa e lavoro, ma lo uccideranno proprio per quel cognome così pesante che attirerà i Corleonesi.  Esiste un unico filo conduttore fra Maria Badalamenti e il padre Silvio, ucciso dalla mafia nel giugno dell’83. Il loro grido di battaglia è quel no detto alla mafia che li unisce ancora oggi, a distanza di trent’anni dal delitto ordinato forse dallo stesso Gaetano Badalamenti, boss mafioso.



LA MORTE DEL PADRE SILVIO

Ufficialmente in realtà saranno i Corleonesi a mettersi sulle tracce dell’imprenditore di Marsala e a vendicare il loro diritto a controllare Cinisi senza le incursioni del clan rivale. Anche Silvio Badalamenti finirà nel mirino della giustizia, con un blitz ordinato da Giovanni Falcone che sospetta possa essere un affiliato della mafia. La sua colpa è infatti aver guidato l’auto blindata di don Tano da Palermo fino a Milano. “Se ne vada dalla Sicilia”, gli dirà alla fine Falcone dopo aver appurato l’innocenza dell’imprenditore. Il Magistrato intuiva la pericolosità di quella parentela. Fin quando Silvio fosse rimasto in Sicilia, avrebbe corso lo stesso rischio del resto della famiglia, nonostante la sua lotta silenziosa contro la mafia. La stessa che poi il clan sopravvissuto alla morte di don Tano continuerà a fare a Maria e ai suoi familiari. “Non ho paura e vado avanti”, dice a La Repubblica convinta che ancora oggi il clan sia ossequiato a Cinisi. 

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