A Milano c’è la mostra che festeggia il 70° anniversario della nascita del fumetto Tex Willer, ranger e capo degli indiani Navajo con il nome di Aquila della Notte. Una vera chicca per gli appassionati di western. Rimango su questo tema. Nel 1970 arrivarono nelle sale cinematografiche tre film: Il Piccolo grande uomo, Soldato blu Un uomo chiamato cavallo. Il fil rouge delle tre pellicole è lo sterminio dei nativi pellerossa d’America.



Negli Stati Uniti, era divampata già dal ‘69 la protesta contro la guerra in Vietnam e sull’onda della contestazioni erano emersi alla ribalta più forti che mai i giudizi storici sull’annientamento delle tribù indiane e l’esproprio delle loro terre e riserve come critica parallela all’ingerenza nel Paese asiatico. In Italia, l’editore Bonelli ci aveva pensato nel 1948 creando la saga di Tex/Aquila della Notte, strenuo difensore della giustizia e delle tribù indiane. A pensar male, forse, il film Un uomo chiamato cavallo si è ispirato (copiato) al nostro eroe bonelliano.



Nel 1964 era arrivato alle stampe il romanzo ”Il piccolo grande uomo”, scritto da Thomas Berger e portato al cinema nel ‘70 dal regista Arthur Penn. Dustin Hoffman interpreta Jack Crabb, che da bambino, insieme alla sorella, viene rapito dai Cheyenne. Crescerà con loro, diventando un giovane guerriero combattendo valorosamente contro altri indiani. Quando i bianchi rompono unilateralmente i trattati, per salvarsi la pelle in uno scontro con la cavalleria americana, si dichiarerà con il suo nome di bianco, J. Crabb. Tornerà nella civiltà, o supposta tale, della frontiera del west. Conoscerà un Dio protestante e la moglie del pastore (una bellissima Faye Dunaway), Buffalo Bill, Wild Bill Hickock, il generale Custer. Farà il pistolero, il commerciante, diventerà un ubriacone.



Dopo varie avventure ritornerà tra i Cheyenne dal suo padre adottivo Cotenna di Bisonte, metterà su famiglia, e vivrà come un indiano. E siamo giunti all’eccidio della tribù Cheyenne dove moriranno sua moglie e suo figlio. Deciso a vendicarsi si arruolerà nell’esercito come scout per uccidere Custer. Non riuscirà nell’intento, ma porterà il narciso maggiore Custer (non era generale) alla disfatta di Little Big Horn.

Grande e bel film, panoramiche e fotografia stupende, interpretato in generale in maniera eccezionale. Il libro e il film trattano un periodo drammatico della storia americana in modo, direi, molto umoristico. Se il film Soldato blu è stato un cavallo di battaglia della sinistra contro l’imperialismo americano, in Piccolo grande uomo il giudizio storico esce chiarissimo, ma è trattato con molto humor. Al tempo stesso si evidenzia la grande cultura e spiritualità del popolo pellerossa, contrapposta alla rozzezza bianca del West, alla cavalleria U.S. Army e ai politicanti americani.

I Cheyenne chiamano loro stessi ”popolo degli uomini”, vivevano pacificamente, pregavano il loro Dio, il Grande Spirito, avevano una concezione della parola data e dell’onore che tra i bianchi non esisteva. Dice Cotenna di Bisonte a Piccolo Grande Uomo: “I bianchi non conoscono il centro dell’universo”. Tutto per gli indiani aveva significato, la natura, gli animali, le stesse tribù nemiche.

Alla fine del film, il capo tribù, nonostante la vittoria a Little Big Horn è cosciente che i bianchi cancelleranno la civiltà pellerossa. È così avverrà. Ultima noticina. Già nel libro e poi anche nel film c’è la figura di un omosessuale, l’indiano amico del protagonista. La libertà sessuale era stata sbandierata già nel ‘68 americano, Woodstock era stato l’anno seguente, Cassius Clay si era rifiutato di combattere in Vietnam e finì in prigione, Nixon nel 1972 diede forfait per il Watergate e poi… Oggi siamo arrivati a Trump che nelle elezioni ha vinto negli Stati che un tempo erano il west.