Ma gli inglesi… si decidono o no a lasciare l’Unione europea? Mah! Mai come in questo caso si può dire: “Mai dire May”. Proprio così! La premier britannica Theresa May ha convocato i membri del Governo di Sua Maestà annunciando così la bozza di accordo raggiunto con i Ventisette sulla Brexit. Ed è successo che dopo il sì del Consiglio dei ministri inglese, un minuto appena dopo, altro che aplomb o flemmatiche cerimonie del thé delle 5 p.m.: è letteralmente scoppiato il finimondo, tanto che 1 p.m. (stavolta inteso come un Pubblico ministero) avrebbe avuto le sue belle gatte da pelare! Il bello è che tutto può ancora succedere: quando la proposta, a inizio dicembre, passerà al vaglio della Camera dei Lord ci troveremo al cospetto di un vero e proprio Hooliganism, vale a dire un clima sullo stile infuocato dei derby londinesi (se sia da preferirsi Arsenal-Chelsea o Tottenham-West Ham, è una scelta che lasciamo a voi lettori).
Intanto, più che dalla Ue, i primi movimenti in uscita si sono registrati dal Governo locale: ben quattro-ministri-quattro che hanno rassegnato le dimissioni. Caduti uno dopo l’altro, come birilli abbattuti da un micidiale strike. Avanti di questo passo, la sede del primo ministro, ubicata in Downing Street, centralissima via di Londra, dovrà cambiare nome in… Bowling Street!
Come andrà a finire questo psicodramma in salsa british? Sorry, we don’t know. But don’t worry, be happy! Tuttavia, qualora la Manica si strappasse definitivamente (gli orli del vestito buono non c’entrano, le deboli toppe stanno tutte nel lembo di mare che divide Calais da Dover), la lingua più parlata al mondo, cioè l’inglese, non potrà più giocoforza essere la lingua ufficiale della Ue. Con pericolose ricadute non solo continentali (vi immaginate gli atti ufficiali dell’Unione in lingua tedesca? E perché no nel più classico francese? E se si volesse sperimentare un assai alternativo polacco? O forse un più neutrale lussemburghese? E se no… meglio l’estone o il fiammingo?…), perché anche in casa nostra ne vedremmo delle belle. La Brexit potrebbe ringalluzzire le non foltissime (almeno per ora) schiere di puristi della lingua italiana, che mal sopportano i sempre più frequenti e invadenti anglicismi che fanno ormai parte della nostra vita quotidiana. Anche perché (ve ne sarete accorti, nessuno ne è immune) la lingua di Shakespeare è col tempo diventata l’idioma ufficiale di numerosissime discipline, peraltro assai differenti tra loro: si va dalla politica all’attualità, dalla moda all’informatica, passando per il cinema e la televisione, e via via fino allo sport, alla musica e… manca qualcosa?
Ma, diciamocelo, quante volte questi termini anglofoni sono stati usati a sproposito? Volete qualche esempio?
Cosa dire di quei contadini che per sembrare al passo con la globalizzazione utilizzano erroneamente il termine biparmisan (anziché bipartisan, che in politica indica una cosa condivisa da maggioranza e minoranza) per indicare la contemporanea produzione di Parmigiano Reggiano e Parmigiano Padano nelle loro fattorie? E usano l’espressione exit poll non per indicare il classico sondaggio elettorale effettuato all’uscita dei seggi, bensì per raccontare, allarmati, come il gallo della fattoria, approfittando di qualche distrazione umana di troppo, si sia spontaneamente allontanato, scomparendo nelle campagne circostanti? E ancora: quanti pastori alpino-appenninici (ottusi amanti di ammorbanti telefilm britannici invece che di una ben più sana vita agreste), trovandosi al cospetto di una capra che non ne vuole sapere di muoversi, griderebbero, al posto di un ben appropriato “Spicciati!”, un anglicissimo “Speech!” (ignorando, da ignoranti, che in realtà è il discorso di un candidato o di un personaggio politico).
Vogliamo parlare delle massaie, quelle che non vogliono essere da meno della famosa e preparatissima casalinga di Voghera e ambiscono a darsi delle arie da donne di mondo? Pensate non possa succedere che una madre, resasi drammaticamente conto che la propria creatura ha testè infilato le dita nella presa elettrica, telefoni preoccupatissima al proprio marito: “Gino, Gino! È successa una cosa grave: Kevin (bei tempi quando i nomi di battesimo erano di santi e non di attori agée) ha preso la scossa. Torna a casa subito! Ho già chiamato l’ambulanza. Tu… senti lo spin doctor!” (non sapendo entrambi, poveri genitori sprovveduti, che trattasi di esperto in comunicazione e strategie che lavora per aumentare il consenso elettorale dei politici). E non potrebbe capitare a un’altra giovane madre, tamponata sulla sua utilitaria durante l’accompagnamento del pargolo all’asilo nido, di uscire con un “Che delinquente! Mi ha investito con il suo Suv e poi non si è neanche fermato! Ma grazie a Dio sono riuscita a prendere il numero di target, sai?” (confondendo la sequenza di numeri e lettere che contraddistinguono ciascun autoveicolo immatricolato con la fascia dei potenziali acquirenti e/o consumatori di un prodotto). Non vorrete che a tali nuore non corrispondano altrettante esimie suocere, vero?: “Ciao cara, oggi ho fatto un gran coffee break!”. “Ma che bello! In quante?”. “Eh, mica poche: ho rotto non meno di tre tazzine…”.
Siccome l’ignoranza è trasversale, nessuno può dirsi escluso, neppure quegli atroci consulenti – quelli che con nonchalance azzardano un “poi ci briffiamo”, seguito a breve distanza da un “e domani ci conferenscolliamo” – quando parlano di cose al di là della loro povera scienza: “Ho un amico che è sempre a caccia di nuove tendenze. E si fa aiutare dal suo cane”. “Davvero? Ma di che razza è?” “Un bel trendsetter!”.
Ok, meglio fermarci qui. Prima che a qualche purista dello Ielts o del Toefl non venga voglia di mandarli – naturalmente all inclusive – affan… cool!