Nelle ore di cordoglio successive alla morte di Bernardo Bertolucci ciò che più colpiva leggendo i social network non era solo il ricordo di un maestro e dei suoi film più celebri, ma l’affetto che con la sua persona, con la sua passione comunicata attraverso incontri, masterclass, dialoghi con il pubblico, era riuscita a trasmettere a diverse generazioni di appassionati di cinema. Perché come non tantissimi della sua generazione, quella della nuova onda italiana potremmo definirla (lui, Pasolini, Bellocchio, ma anche Antonioni che era il fratello maggiore), il cinema di Bertolucci ha saputo travalicare le epoche e le età degli spettatori, riuscendo a coinvolgere anche nel 2008 lo spettatore giovane: basterebbe pensare al successo che Novecento ha ogni volta che viene riproposto, come con l’ultimo restauro.
Uno dei motivi forse è che Bertolucci ha spesso raccontato i giovani, la vitalità emergente da ogni contesto sociale, culturale, storico o geografico, restituendo sullo schermo quella passione con immagini vitali riuscendo a catturare proprio lo spirito di quelle epoche, come se raccontasse lo scorrere della storia in diretta: prima della rivoluzione che anticipò il ’68, le turbolenza e le crisi della sinistra in Strategia del ragno, il crollo di certezze e valori in La tragedia di un uomo ridicolo e La luna, gli anni ’90 di Io ballo da sola. Ma anche il passato reso vivido come si trattasse di una cronaca del giorno prima: l’imponente affresco storico di Novecento, la rilettura del kolossal con L’ultimo imperatore o il sottovalutato Piccolo Buddha, il ’68 visto con amore e nostalgia in The Dreamers.
Ma ciò che forse lo ha reso grande e longevo nella memoria, ma anche contemporaneo negli sguardi di spettatori di varia età, è proprio il suo legame con l’intimità e con le età dei sentimenti: la scandalosa libertà sessuale che era anche crisi delle identità in Ultimo tango a Parigi, la dissezione estenuata di una coppia in Il tè nel deserto, l’animalesca rincorsa in una gabbia dorata di L’assedio e invece la gabbia più goffa dell’adolescenza e della famiglia in Io e te.
Quello di Bertolucci è un cinema pulsante, inesausto, incessante che faceva scaturire la ricerca visiva, la meticolosa cura dell’immagine da una ricerca costante sui sentimenti umani, sulle personalità svelate dall’amore o dall’idealismo, distrutte dall’apatia o salvate dalla fede laica. Film che erano continui ménage a trois tra la cinefilia (“Filmare è vivere, e vivere è filmare”, dice nella sua raccolta di memorie), l’eros e la politica: una trinità non sacra ma mai dissacrante, un inno alle passioni durato 50 anni, 18 film e vari cortometraggi. Un inno che da oggi in tutto il mondo, a ogni età si canterà ancora più forte.