Se si parla di sport, occorre andare via veloci. Parliamo di sport. Fine del pezzo.

Troppo veloci? D’accordo, ricominciamo… Argomento di giornata, le stranezze nello sport. Non sempre i conti tornano, se uno nasce quadrato non muore tondo (copyright Rino Gattuso) e se intendessimo giocare un Mondiale di calcio a tavolino, lo vincerebbe sempre e comunque il Brasile. Ma poi… ci sono le stranezze, le eccezioni, i Davidi che si mangiano le Golia, o forse, che fa più citazione (biblica in questo caso), Davide che batte Golia, la tartaruga che batte la lepre, la lingua che batte il dente (dolente).



A memoria recente, i primi alla famolo strano, ve li ricordate, sono stati gli svizzeri di Alinghi. Stiamo parlando del catamarano di un Paese popolato da gnomi finanziari e montanari, da artigiani degli orologi a cucù e tutt’al più da abili arcieri tra i meleti (cosa che ha portato l’outsider Guglielmo Tell a raggiungere del tutto inaspettatamente il podio della specialità assieme a Cupido – per forza, tirava le frecce da dio! – e a Robin Hood). E che ti hanno combinato ‘sti svizzeri? Vanno a vincere la Coppa America, il più antico trofeo sportivo del mondo per cui si compete tuttora, la gara di vela storicamente più prestigiosa. Andando addirittura a sconfiggere e lasciando in scia i neozelandesi, gente che sta sulla terraferma solo per giocare a rugby, facendo mete su mete e spessissimo raggiungendo l’ultima meta (leggasi la vittoria), ma che perlopiù vive in mare, timonando barche da secoli con la stessa naturalezza di quando noi da piccoli si andava in bici o sui pattini a rotelle.



E poi, proseguendo nel nostro succinto excursus, non possiamo non citare i giamaicani. È vero che con le strisce bianche potrebbero avere una certa dimestichezza, ma mettersi in testa di poter gareggiare in una specialità nordica come il bob (ci hanno fatto pure un film), abitando su un’isola dove i suoi abitanti conoscono una sola stagione, l’estate, che se i Benetton vi si fossero recati per vendere i loro multicolori maglioni avrebbero finito per fare i vu cumprà, beh, è davvero troppo! Nella patria del reggae, la parola “golf“ (intesa come capo d’abbigliamento) di certo non sa di pura lana vergine; magari di buche, par e caddies, ma niente pecore.



E già che ci siamo con il golf, sport elitario per eccellenza, dominio incontrastato dell’uomo bianco snob, che ti va a succedere? Che un giorno qualunque, ti alzi e trovi un fantastico uomo di colore, al secolo Tiger Woods, dal colpo così potente e preciso, da conquistare per la prima volta nella storia l’alloro più importante.

E ora? Finalmente è toccato a noi italiani. Un panettiere, due impiegati e un paio di piccoli imprenditori. Una sorta di band paesana che ha conquistato una hit planetaria, permettendosi di battere in semifinale i maestri canadesi e facendo cadere come birilli i professionisti americani in finale, laureandosi così per la prima volta campioni del mondo di bowling!

Cogliete, sparuti ma affezionatissimi lettori, l’eccezionalità dell’impresa? È un po’ come se la nazionale del Tibet si laureasse campione di pallanuoto, se il Togo vincesse la medaglia d’oro nell’hockey su ghiaccio, se i messicani perdessero il loro predominio sulla siesta, i tedeschi trovassero concorrenti a loro superiori davanti a un’abbuffata di birra e crauti o i cinesi nella preparazione del riso alla cantonese.

Ma… tornando al bowling, possiamo saperne di più? Come dice lo Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché ha fatto strike (punteggio pieno) nella sua vita, rubacchiando ed evitando i gutter (che, non essendo altro che i canali posti ai confini laterali della pista, indicano i colpi da zero punti) qua e là in giro per il mondo, “il bowling si chiama così perché chi l’ha giocato per la prima volta l’ha chiamato proprio così. Per giocare a bowling, infatti, servono: una pista… da bowling (quindi non circolare, né in discesa: perciò non facile da reperire), delle palle da… bowling, dei birilli (dieci) da… bowling, delle scarpe da… bowling (che se no, non vi fanno entrare in pista… da bowling), dei giocatori di… bowling vostri concorrenti. Se una di queste condizioni non viene rispettata, probabilmente state giocando a qualcos’altro, ma noi ignoriamo cosa (e forse pure voi!)”.

La storia del bowling racconta di una sola partita ufficiale terminata sullo 0-0. Avvenne quando a sfidarsi si ritrovarono non esattamente due campioni di questo sport. Il primo, egiziano, si chiamava Amir Bakir Fakir Jabir Mahndohtir: oltre 22mila partite in tutta la sua carriera, e solo un paio di punti della staffa messi in cascina. I suoi connazionali e tutti gli appassionati lo hanno conosciuto come “il Canale (o gutter) di Suez”. Il suo storico avversario? Un panamense, affetto da strabismo alla Ben Turpin (grande attore comico statunitense nell’epoca del film muto), che si chiamava… Ben Turpin (un semplice caso di omonimia o che altro?), anche lui con uno score quasi immacolato: un vero collezionista di colpi che a definirli imprecisi gli si fa solo un bel complimento. Ogni tiro, un gutter, tanto da meritarsi l’appellativo di “Canale di Panama”.

Ebbene, la partita in questione, trasmessa (poteva essere altrimenti?) da Canale 5, con il commento di uno dei primi giocatori italiani di bowling, un veneto soprannominato “il Canaletto” a causa della sua passione per la pesca, per i bitter e per i gutter, iniziò la sera del 7 settembre 1977. “Canale di Suez” e “Canale di Panama” continuarono a tirar palle senza mai fare un punto che uno, mandando inesorabilmente ogni colpo in gutter, giorni e giorni ininterrottamente e instancabilmente, fino al 28 ottobre. A quel punto, l’ultimo giudice rimasto ancora in piedi decretò la fine della sfida. Il motivo riportato nel referto? “Il risultato non si schioda, perché ormai è inesorabilmente… incanalato su uno scontatissimo 0-0″!