Mentre nel mondo sta succedendo di tutto, si è concluso con un trionfo di ascolti il Festival di Sanremo numero 68, che ha tenuto incollati al video circa 11 milioni di italiani ogni sera per cinque sere. Embè? Se in così tanti lo hanno guardato c’è poco da fare gli snob, come alcuni commentatori hanno fatto con un certo pregiudizio. Semmai c’è da domandarsi il perché. In fondo ogni Paese ha ancora il suo rito televisivo collettivo: solo pochi giorni fa il Super Bowl ha racimolato negli Stati Uniti 104 milioni di telespettatori. In realtà quella è la finale di una gara sportiva che appassiona durante tutto l’anno gli americani, mentre Sanremo è solo una gara canora che si trascina inoltre da molto tempo sempre più stancamente perché la stessa Rai ha smesso di crederci, trasformandola in un evento un po’ meccanico da rendere spettacolare con ospiti costosi e trovate alternative di ogni genere.



In molti avevano decretato trattarsi di una mummia oramai tenuta in vita con mezzi artificiali, finché a qualcuno non è venuta l’idea di chiamare come direttore artistico un’icona della musica italiana come Claudio Baglioni. E la curiosità di vedere cosa sarebbe successo aveva solleticato persino il vostro vecchio Yoda, che ha pensato di iniziare il suo commento con una citazione di una canzone di Edoardo Bennato del 1980: “Guarda invece che scienziati, che dottori, che avvocati / che folla di ministri e deputati… pensa che in questo momento / proprio mentre io sto cantando / stanno seriamente lavorando… E così e se vi pare / ma lasciatemi sfogare / non mettetemi alle strette / e con quanto fiato ho in gola vi urlerò: non c’è paura / ma che politica, che cultura, sono solo canzonette / non mettetemi alle strette / sono… sono… sono solo canzonette”.



È vero, sono solo canzonette, che però ci permettono di esprimere alcune considerazioni di carattere più generale. Innanzitutto che è sbagliato rassegnarsi a ciò che sembra ineluttabile: per quanto potesse sembrare un paradosso, vista la piega che aveva preso il Festival, il neo direttore artistico s’è così messo in testa di valorizzare davvero la musica, costruendo un evento che l’avesse sempre al centro. Poi ha scelto – oltre a se stesso – due conduttori che si sono rivelati una sorpresa e che hanno irrimediabilmente distrutto e seppellito la categoria dei “bravi presentatori” come li chiamerebbe Frassica. Ben diversi dai soliti automi capaci di dire soprattutto “ecco a voi”, i tre hanno mostrato una cifra inconsueta per la Rai e la tv italiana nel suo complesso: humor, buon gusto, garbo e competenza.



Baglioni in primis ha dimostrato che la rottamazione è una vera sciocchezza: se uno anche in età avanzata sa restare al suo posto mostrando tutto quello che imparato è un bel segno, anche perché in un Paese che si sta rapidamente degradando c’è sempre più bisogno di maestri. A modo loro Hunziker e Favino si sono inoltre dimostrati capaci di non sfigurare (anzi) anche cantando e suonando, oltre che nel costruire un trio affiatato e capace di tenere sempre alta l’attenzione con leggerezza e diverse gag, come il balletto di Despacito.

Rubo da un intervento di Cesare Catà su Huffington Post l’osservazione che il successo personale di Michelle va inquadrato nella figura che la fata ha nell’inconscio collettivo: “Non sembra esserci nulla di artefatto in lei; non le sono proprie le pose da modella, né l’infingarda complicità dei conduttori tv. In lei c’è una straniante spontaneità che crea con il pubblico un patto cosmico. La fata giunge per consolare l’eroe distrutto (il pubblico) e dirgli che la strada è ancora lunga. Che c’è un’uscita dal bosco. Lei appaga il bisogno di consolazione del pubblico, incarnando due nature, che nelle fiabe sono proprie delle fate: la bellezza incantevole; e l’origine in Neverland, in qualche arcano regno arcadico. Sì, perché lei, inconsciamente, per il pubblico, è sia Michelle, ma belle, la ragazza stupenda da copertina; ma anche la ragazza delle montagne svizzere, la natürliche Schönheit che si porta nelle vene, nella luce degli occhi e nelle gote lo splendore bucolico dei cantoni della sua terra. Lei è sia Michelle, che Hunziker”.

Ho parlato di garbo, che è certamente la cifra principale di Baglioni, una cifra che è improvvisamente diventata la cifra del Festival: e va osservato che il garbo non diventa noia se sotto c’è mestiere, lavoro, esperienza, impegno. Ben fatta la scelta delle canzoni ammesse alla gara, complessivamente niente male come ha sottolineato un critico di lungo corso come Mario Luzzatto Fegiz. Certo, qualcuna è stata ammessa per motivi di spettacolo (vedi Elio e le Storie Tese, Mario Biondi e qualche altra), ma rispetto alle altre edizioni c’era parecchio da scegliere. Molto indovinati i pochi ospiti (Fiorello, Raffaele, Frassica per i comici, Sting, James Taylor che hanno voluto rendere omaggio alla lingua italiana anche loro con grande garbo!), in particolare Taylor che ha avuto come degnissima compagna di duetto Giorgia in You’ve got a friend. Sicuramente ha contribuito a far crescere un’audience più vasta il portare sul palco anche vecchie glorie insieme a giovani promesse. Senza dimenticare che le molte canzoni di Baglioni, ripresentate spesso in duetti sempre assai godibili e tutte assai belle, sono state la colonna sonora della vita di tantissimi italiani: così la sfida è stata vinta, la musica ha fatto spettacolo e ascolti senza cedere all’oramai solito format dei gladiatori nell’arena.

Yoda teme fortemente che il garbo e la professionalità dei tre costituiranno un evento raro… basta confrontare i servizi dei Tg e l’anteprima stessa di Sanremo, per ritrovare infatti il solito approccio vuoto, generico e soprattutto perennemente sopra le righe. Un plauso convinto Yoda lo vuole dare all’orchestra, ai direttori, al coro, e ai tecnici del suono: pochi sanno rendersi conto quanto sia difficile garantire un eccellente suono dal vivo, senza mai una sbavatura né musicale né tecnica, cambiando assetti, spartiti, generi. Come s’è visto, non tutto è piaciuto a tutti, anche se l’audience è stata la più alta dal 1999, quando a presentare insieme a Fabio Fazio ci fu Laetitia Casta. Al vostro Yoda non sono piaciuti i testi delle prime due serate (poi migliorati), mentre ancora si domanda a cosa si debba questo enorme successo mondiale della Pausini che finalmente è guarita dalla laringite ed è arrivata a cantare l’ultima sera, disturbando una delle più belle canzoni di Baglioni. Altra cosa che gli è parso una concessione alla popolarità è stato l’inserimento dell’insopportabile Giovanni Allevi nella giuria degli esperti, ma forse perché è uno che della musica ha fatto sempre un mero approccio di marketing.

La serata finale paradossalmente è stata la meno brillante, tutto avveniva un po’ di corsa, con anche qualche partecipazione di altri cantanti come Renga non ben riuscita, forse perché poco provata, forse anche per la stanchezza accumulata: dopo quaranta giorni di prove, cinque serate dal vivo non sono mica uno scherzo, eh. Al momento delle eliminazioni, si scopre che le previsioni vengono confermate: in lizza Annalisa, lo Stato Sociale e Meta e Moro. Su Facebook si scatenano le battute: “L’anno scorso ballava la scimmia nuda, quest’anno la vecchia”, alludendo alla ballerina ottantenne che accompagnava la performance dello Stato Sociale. Nell’attesa dei risultati del televoto, il premio della critica viene dato a Ron, che era arrivato quarto nelle eliminazioni, e tutti, compreso Yoda, sono soddisfatti. Il premio Sergio Endrigo per la migliore interpretazione va a Ornella Vanoni, che purtroppo chiede di che premio si tratta, il che dimostra che a una certa età sarebbe meglio sapersi ritirare in tempo dalle scene. Seguono altri premi, troppi, il Festival si sfarina e si perde in una noiosa e ripetitiva cerimonia di consegne, il che serve comunque a prendere tempo perché i risultati del televoto non sono pronti, bisogna controllare le percentuali, pare, e questo, vedrete, scatenerà un sacco di polemiche. Anche perché la canzone veniva data per vincitrice da parecchio tempo.

Che dire? Il motivo è orecchiabile, il testo contiene un messaggio sociale importante, come viene scritto ovunque.Ma, alla fine, sono solo canzonette.