Tutti conoscerete la fiaba de “La bella e la bestia”. Ora dimenticate per un momento la bella principessa e immaginate al suo posto una ragazza qualunque, anzi insignificante. La protagonista di questa storia, narrata nel film La forma dell’acqua, è Eliza Esposito (Sally Hawkins), ragazza muta che fa le pulizie presso un laboratorio scientifico di Baltimora. E lui? La “bestia” si mantiene fedele all’immaginario di creatura spaventosa e fuori dal normale.
Siamo nel 1962, in un’America poco incline all’integrazione e dove il diverso non trova spazio. Eliza vive la sua vita tra il lavoro, dove trova in Zelda, afroamericana interpretata da una loquace Octavia Spencer, un’amica fedele, e il condominio dove abita e nel quale si trova il dirimpettaio Giles (Richard Jenkins), allontanato dal posto di lavoro perché omosessuale. I due sono le persone che l’orfana Eliza considera la sua strana famiglia. Il mondo di Eliza, sospeso in una dimensione quasi onirica, sarà sconvolto dall’incontro con la strana creatura acquatica che il perfido Strickland (Michael Shannon) tiene prigioniero sotto tortura, nel laboratorio dove la ragazza lavora.
Guillermo del Toro è tornato e ha cominciato l’anno con un bottino davvero niente male: un Leone d’oro a Venezia per il miglior film, un Golden Globe per la regia e uno ad Alexandre Desplat per la colonna sonora; ci si aspetta inoltre l’en plein agli Oscar con ben 13 nomination. Eppure il lavoro del regista non contiene particolari innovazioni dal punto di vista di effetti speciali e scene spettacolari.
Le ambientazioni de La forma dell’acqua sono infatti semplici e naturali. In ognuna c’è un filo rosso che le collega: l’acqua, dalla vasca di Eliza, alla “cella” del mostro marino fino alle sfumature di colore verde, azzurro che si stagliano contro lo sfondo grigio degli ambienti cupi. Tutto riporta all’idea dell’elemento generatore di vita. Come ha rivelato lo stesso regista in una recente intervista, il colore assume molta importanza in questa pellicola dai tratti delicati e semplici. Lo spettatore si trova davanti scene in cui i toni scuri della notte lasciano il posto all’azzurro, passando per l’ambrato che connota le figure di Zelda e Giles e infine si giunge al rosso puro, acceso, che Eliza scopre, quasi come fosse la prima volta, solo dopo aver incontrato il mostro.
L’incontro tra i due avviene con un’estrema innocenza, quasi di iniziale pietà della ragazza verso un essere che tutti considerano solo un’aberrazione e che in realtà è molto simile a lei. Interessante la scelta del mutismo di Eliza che permette di focalizzare l’attenzione sul linguaggio del corpo e dei gesti e che mette i due innamorati sullo stesso piano di assenza di linguaggio e comunicazione “convenzionale”. Tanto è vero che si è scelto di affidare il ruolo della strana creatura a un attore in carne e ossa (Doug Jones) al posto di lasciar fare alla computer grafica: non si potevano simulare tali dialoghi davanti al vuoto. Complimenti a Sally Hawkins che ha il grande merito di comunicare tutto attraverso una recitazione mimata davvero ben studiata e che lascia a bocca aperta.
Il tema del diverso fa la parte da padrone nel film di del Toro. Anche se ambientato durante la Guerra fredda sembra essere calzante per il mondo d’oggi che, sotto un’apparente patina di tolleranza e integrazione, contiene infinite contraddizioni. Il tema del mostro non è altro che una trasposizione nel mondo del fantasy di chiunque sia diverso dalla normalità. È presente inoltre un rimando al tema della religiosità che ognuno, in cuor suo, potrà interpretare.
Toccante storia d’amore, dalla trama estremamente semplice, il film commuove e lascia sbalorditi per l’immediatezza e la delicatezza priva di giri di parole e di malizia. Uscirete dal cinema incantati, sbigottiti e un poco confusi. Del Toro ha nuovamente fatto centro.