Mattia Torre è uno scrittore e regista che con il suo libro ‘La linea verticale’, da cui è tratta l’omonima serie tv, ha riscosso granissimo successo. Un successo sicuramente del tutto insperato per lo scrittore quarantenne visto che, almeno fino a quel momento, ben pochi avevano conosciuto e apprezzato le sue opere. La Rai, però, ha deciso di dare ampia visibilità a un libro che ha scalato le classifiche, ampliandone ancora di più gli orizzonti e facendone in brevissimo tempo un vero e proprio cult della televsione. Con La linea verticale, infatti, le persone possono accostarsi a un tema serissimo come quello del cancro in modo innocuo, leggero, disincantato. Che poi, alla fine, è il modo stesso in cui lo scrittore racconta quella che è, a conti fatti un’autobiaografia. Lo stesso Torre, infatti, è reduce dalla brutta esperienza di un cancro al rene. Ecco cosa ha detto lo scrittore al quotidiano Il Foglio: “La mia guerra con il cancro dura ancora e sarà piuttosto lunga. Due anni fa ho scoperto un tumore al rene e mi sono recato nel reparto oncologia, il che mi spaventava moltissimo. Alla sola idea di trovarmi a tu per tu con un problema del genere ero a dir poco terrorizzato.”
‘UN REPARTO STUPENDO’
L’esperienza personale di Mattia Torre è importantissima, perché è grazie ad essa che possiamo comprendere fino in fondo la vera natura di questa fiction televisiva di grande, grandissimo impatto. La linea verticale segna la differenza tra i vivi e i morti: chi rimane in posizione orizzontale appartiene ovviamente a quella dei morti, mentre chi è ancora in vita lotta, spera, soffre, ci prova. Si arrampica in quella ideale linea verticale che significa vita. Mattia Torre ha toccato con mano quello che significa essere un malato di cancro ed entrare personalmente all’interno del reparto di oncologia: “Come ho detto, ero spaventato. Ma dopo un po’ tutti i cliché che c’erano sul genere sono stati annientati dalla realtà. Ad esempio il medico chirurgo che mi ha salvato la vita è una persona solare, sorridente, avvicinabile e gioiosa. Non è lo stereotipo del luminare pieno di sé e lontano dalla gente comune. In quel reparto le persone vivono come se fossero dei fratelli perché la paura li unisce in quache modo. C’è una grande serenità e solidarietà fra di loro, è un’esperienza unica da vivere.”
MATTIA TORRE, NON DITE TARGET
La linea verticale ha finalmente dato la fama a uno scrittore e regista come Mattia Torre, uno che fino a questo momento aveva vissuto come autore per pochi, di nicchia. La Rai, televisione di Stato, ha chiaramente ampliato gli orizzonti con la sua entrata in scena. Ma la rabbia di Mattia Torre per essere stato scoperto tardi non accenna a diminuire, anzi. Ecco cosa ha detto lo scrittore in un’intervista rilasciata a Il Foglio: “Il brutto della critica italiana, sia letteraria che tearale è che tutti cercano in qualche modo di etichettarti in un target. Odio la parola target, la detesto. Ricordo che una volta una giovane studentessa univesitaria voleva scrivere una tesi di laurea sulle mie opere teatrali ma i professori le dissero di no perché non appartenevo a nessun genere letterario. Ma che significa? Questa cosa ancora oggi mi fa imbestialire. Tutti cercano di incasellarti in qualche modo. Target significa che lo scrittore pensa e scrive per un determinato tipo di pubblico. Questa è, di fatto, l’antiscrittura: io desidero invece arrivare a tanti, a un vasto pubblico, non voglio fermarmi al mio target.”