Adriana Faranda, l’ex brigatista rossa che partecipò al rapimento di Aldo Moro avvenuto 40 anni fa, è stata intervistata da Francesca Fagnani, durante la prima puntata di Belve, nuovo programma in onda su Nove. Tra le varie dichiarazioni, la Faranda ha commentato alcune affermazioni di Barbara Balzerani che, in passato, ha dichiarato di non sentirsi un’assassina. Queste sono state le parole di Adriana Faranda usate a riguardo: “Non giudico la Balzarani e nessun altro mio ex compagno di allora. In quel momento noi ci sentivamo in guerra, al di là che questa fosse reale o meno. E la guerra è spietata e cinica, la guerra uccide”. Successivamente, l’ex brigatista ha commentato il grande sciopero contro il terrorismo che avvenne dopo il rapimento Moro: “Un minimo dubbio su quello che facevamo c’era sempre ma non era sulle manifestazioni organizzate dal Pci. Non ci stupiva riuscissero a mobilitare tante persone. La gente non era con noi. Però cosa significa essere con noi? Pensavamo di essere una avanguardia che innescava un processo…”. (Aggiornamento di Fabio Morasca)
IL PENTIMENTO DI ADRIANA FARANDA
Un senso di colpa che l’accompagnerà per sempre: Adriana Faranda, ex brigatista rossa ed oggi 65enne, non può fare a meno di credere che avrebbe potuto agire diversamente per il sequestro Aldo Moro. Considerata la postina delle Brigate, la donna è stata ritenuta fra i responsabili del rapimento del presidente della DC e condannata all’ergastolo. Ha sempre affermato però di aver fatto all’epoca quanto possibile per convincere i compagni a non trasformare il rapimento in delitto. Nella seconda serata di oggi, 14 marzo 2018, Adriana Faranda risponderà alle domande della giornalista Francesca Fagnani in Belve, il programma in onda su Nove. L’ex brigatista si è dissociata dai compagni negli anni immediatamente successivi al suo arresto, avvenuto nel ’79, ricorda Il Corriere della Sera, ed è uscita di prigione a metà degli anni Novanta, grazie a riduzioni di pena che le hanno permesso di non scontare appieno la condanna. Il suo pentimento è visibile inoltre nel sodalizio che al fianco di Agnese, la figlia di Aldo Moro, le ha permesso di presentare Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, edizione ilSaggiatore.
L’INCONTRO CON AGNESE, LA FIGLIA DI ALDO MORO
Adriana Faranda oggi si chiede se avrebbe potuto agire prima per salvare Aldo Moro. Forse uscire subito dopo il sequestro dalle Brigate rosse avrebbe evitato il delitto. Per riuscire ad evitare il peggio, ricorda a Il Corriere della Sera, aveva persino fatto notare ai compagni come Moro fosse “indifeso, che non era più l’uomo politico che avevamo sequestrato”. In seguito al suo rapimento, infatti il Presidente della DC era stato abbandonato dai compagni di partito, lasciato solo e senza alcun modo di difendersi dai suoi aguzzini. Dell’incontro con Agnese Moro, la Faranda ricorda le emozioni di quel momento ed anche la difficoltà del confronto. “Sei davanti a una persona che sai di aver ferito in maniera irrimediabile, sottolinea, anche se la figlia dello statista ha confidato di voler andare avanti, di uscire da quelle vesti di vittima che per decenni si è vista addosso. E questo senza nulla togliere all’amore che nutrirà sempre nei confronti del padre.
GLI AGENTI DELLA SCORTA DELLO STATISTA ERANO IMPREPARATI?
Durante il sequestro di Aldo Moro non va dimenticato che vennero uccisi gli agenti della scorta dello statista.Adriana Faranda alla domanda della giornalista di Belve, come si può notare dall’estratto, non può fare meno di notare che quel giorno sembrava che i poliziotti fossero quasi impreparati e che alcune armi si trovassero addirittura nel bagagliaio. Durante la pianificazione, le Brigate Rosse avevano tenuto in considerazione che ci sarebbero stati morti per entrambe le fazioni, anche se alla fine moriranno solo gli agenti della scorta di Moro. All’epoca dei fatti, i notiziari riferiscono inoltre che solo uno dei poliziotti era riuscito a sopravvivere nello scontro a fuoco e la Faranda ricorda di essersi augurata che potesse sopravvivere. Quello con Agnese Moro non è stato il solo incontro difficile a cui si è dovuta sottoporre l’ex postina delle Br. Vincenzo Iozzino, il figlio di Raffaele Iozzino, uno degli agenti uccisi nel sequestro Moro, ha avuto modo di stringere la mano alla Faranda circa venti anni fa. Una prova dura e difficile, sottolinea a Il Mattino, ma che lo ha aiutato a comprendere il male: “Certo, è stata dura accettare che l o Stato premiasse terroristi autori di tante tragedie con una legislazione speciale per il loro pentimento”.