Quando si accoglie qualcuno in casa per tanti anni e quel qualcuno in tutti quegli anni ha sempre regalato un sorriso e un momento di serenità o allegria, è come un parente, forse meglio di un parente. Fabrizio Frizzi è stato sicuramente più di un parente per moltissimi spettatori televisivi e non solo che lo rimpiangono da stanotte, quando è morto all’età di 60 anni per un’emorragia cerebrale, a pochi mesi dall’ischemia che lo aveva costretto al ricovero. 



Una scomparsa che lascia sconcertati nonostante la malattia con cui lo stesso Fabrizio Frizzi aveva ammesso di combattere dopo quel primo malore, una morte che lascia un vuoto nella tv italiana che ha riempito con competenza e simpatia per quasi 40 anni, da quando esordì nel 1980 sulla seconda rete Rai con Il barattolo. Per qualche anno la sua altezza, il suo volto bonario e sorridente e la sua andatura un po’ dinoccolata ne fecero uno dei pilastri della tv dei ragazzi dell’epoca: Tandem e poi Pane e marmellata ne sancirono il rapporto privilegiato con i ragazzi. 



Ma il suo stile sobrio e rilassato, in cui l’eleganza non era mai affettazione, lo portarono a diventare dalla metà degli anni ’80 fino a oggi uno dei pilastri della rete pubblica, uno dei sempreverdi, un uomo per tutte le stagioni, certo, ma anche un timbro di riconoscibilità, uno di quei conduttori per cui guardare un programma a prescindere dal programma, esattamente come Corrado, il suo modello. Le 17 volte in cui ha condotto Miss Italia e le 16 alla guida di Telethon sono solo uno dei segni della fiducia che si è conquistato negli anni, una fiducia che si è rinnovata di successo in successo, da Europa Europa che celebrava l’avvento dell’Unione europea unita a Scommettiamo che? – forse il suo più grande successo – in cui presentava sfide al limite del possibile e che 30 anni dopo si è visto “plagiare” da Superbrain, passando per il battesimo de I fatti vostri, uno dei programmi più longevi della tv italiana, laboratorio di talk show, infotainment e gioco a premi: e nel quiz e gioco, Frizzi aveva trovato il modo per esprimere la sua personalità da conduttore, potendo dare forma a quella tv popolare e tranquilla pensata per un pubblico generale e trasversale, che dall’infanzia degli esordi, potesse parlare a tutta la famiglia. Il Luna Park della proverbiale Zingara, Per tutta la vita fino a L’eredità: rituali pomeridiani e pre-serali che hanno dato calore e tranquillità a formule tv spesso molto più aggressive.



Volto cardine e simbolo di un’azienda, ma anche tentato da strade più creative e rischiose: come quella dell’attore in Non lasciamoci più, serie giallo-rosa in cui da avvocato risolveva dei casi assieme all’investigatrice interpretata da Debora Caprioglio, oppure la beneficenza delle molte partite con la nazionale di basket artisti e l’impegno con la Partita del cuore (donò il midollo osseo a una bimba che lo ringraziò proprio durante una Partita), il canto persino che lo portò nel 1993 a iscriversi al Festival di Sanremo e poi ritirarsi per le polemiche dei cantanti professionisti. 

Ma ciò che lo ha fatto entrare davvero nel cuore di tutti, per ogni età ed estrazione culturale, è il lavoro come doppiatore di Woody nei tre film di Toy Story: una voce dolce, simpatica, disneyana suo malgrado (come il Tom Hanks della versione originale) che ha accompagnato tre film d’animazioni memorabili proprio sul passaggio dall’infanzia a età più adulte. Quel passaggio che sotto sotto, Frizzi si era sempre rifiutato di fare. E per questo il suo addio fa un po’ più male del previsto.