“E’ stato un esponente di primo piano di quella nuova generazione di presentatori televisivi emersa negli anni 90, ma a differenza di quasi tutti gli altri non è mai scaduto nel volgare o nel narcisismo autoreferenziale” ci ha detto Massimo Bernardini, anche lui presentatore televisivo Rai seppur in ambito diverso da quello di Fabrizio Frizzi. “Legatissimo ai Telethon che ha condotto forse più di ogni altro collega, sapeva commuoversi profondamente rimanendo professionale, senza scadere nella televisione del dolore. Era un uomo profondamente educato che conosceva il limite della sua professione: portare un po’ di serenità ai telespettatori. Per questo di lui ricorderemo per sempre il suo sorriso”.



Bernardini, si parla in queste ore del “bravo ragazzo della tv”, tu l’hai conosciuto di persona? E’ questa secondo te l’immagine vera di Fabrizio Frizzi?

Ho avuto modo di lavorare con lui durante una edizione del Telethon. Ho conosciuto un altro Frizzi, un uomo profondamente empatico, fedelissimo a Telethon, cosa che nel mondo narcisistico dello spettacolo non ha confronti, e che era in grado di vivere il rapporto con il bambino malato, per fare un esempio, e con i suoi familiari con il massimo di attenzione, commuovendosi e insieme controllando la sua capacità professionale. Non la buttava sulla tv del dolore, se posso dirlo mi piacerebbe imparare la sua capacità di stare davanti al dolore che ha mostrato lui.



Che altro hai intravisto lavorando con lui?

Da una parte è vero che aveva l’immagine del bravo ragazzo, di lui ci ricorderemo sempre il sorriso, reagiva sempre ridendo e sorridendo. Ma questo sorriso in fondo era anche una posizione di distacco. Le stelle della tv popolare si prendono molto sul serio e c’è un narcisismo molto diffuso.

Lui invece?

Lui quel sorriso, quella risata prima di tutto l’aveva su se stesso. Era un signor professionista che però aveva la consapevolezza che il suo lavoro non stava cambiando l’universo, ma che semplicemente regalava un po’ di simpatia e serenità ai telespettatori.



I suoi esordi negli anni 90 insieme a coetanei diventati autentiche star…

La sua carriera si divide in quattro blocchi: la tv dei ragazzi, il lungo periodo di Scommettiamo che contemporaneamente a Miss Italia, e poi negli ultimi tempi star del prime time con i giochi a quiz. In questi spazi lui rappresentava una categoria un po’ vecchia, quella dell’educazione, ma sempre importante: non credo abbia mai detto una parolaccia in diretta.

Un aspetto poco conosciuto?

Aveva una enorme competenza musicale, tutti ricordiamo l’imitazione di Pelù, ma dietro non c’è solo bravura, c’è una grandissima musicalità cosa che non ha mai voluto far pesare, aveva il retaggio di un antico stile Rai quello di non opprimere lo spettatore con auto referenzialità. Anche il doppiatore è un esempio di musicalità, è stato bravissimo con il Woody di Toy Story. Bisogna esser musicali per doppiare bene.

Ha colpito in queste ore l’immagine delle due vedove, quasi un dolore condiviso in modo uguale, è così?

Hanno rappresentato due stagioni della sua vita: Rita Dalla Chiesa di cui si era innamorato in giovane età e Carlotta Mantovan quando era in età matura. Però qui mi fermo. Tutti stanno mettendo insieme immagine pubblica e immagine privata, ma la seconda la lascio agli amici e ai familiari. Sarebbe bello che anche la televisione e i media si fermassero su questa soglia.

(Paolo Vites)