A distanza di tanti anni dalla morte di Domenico Ricci, il figlio Giovanni Ricci ha avuto modo di parlare di quei tragici momenti. Il carabiniere infatti faceva parte della scorta di Aldo Moro e rimase ucciso durante l’assalto di via Fani voluto dalle Brigate Rosse. Un eroe quotidiano, come lo definisce il figlio, che usciva presto alla mattina e ritornava alla sera. ‘Una persona normalissima con un amore incredibile per il suo lavoro’, ha sottolineato a La Repubblica. Giovanni Ricci sarà fra gli ospiti del Maurizio Costanzo Show di questa sera, giovedì 29 marzo 2018, per un omaggio al padre. Nella sua intervista, Ricci ha inoltre parlato del suo personale incontro con chi ha ucciso il padre quel giorno di marzo del 1978. E’ stato lui in prima persona a voler vedere in faccia chi gli ha strappato il genitore. Un’esperienza importante per Ricci: da quel momento non ha più odiato quelle tre persone che ‘sono assassini e assassini rimangono, ma che sono profondamente cambiati. Anche in questo caso è stato un evento che ha permesso al figlio di Domenico Ricci di incontrare delle persone normali, a cui finalmente ha potuto rivolgere una domanda spinosa: perché? “Sono stati talmente inebriati da quella voglia di cambiamento da essere convinti che chi dovevano combattere, erano degli oggetti”. I Carabinieri e i poliziotti, così come tutti gli esponenti dello Stato, ai loro occhi avevano perso ogni connotazione di esseri umani.
I RICORDI SU PAPÀ DOMENICO RICCI
I ricordi di Giovanni Ricci del padre Domenico hanno riguardato per tanto tempo due particolari episodi della loro vita familiare. Due fotografie che gli rimarranno impressi per tanti anni: l’orologio del padre e la vista del cadavere del genitore grazie ad un giornale lasciato nella sua casa da alcuni uomini. Aldo Moro e la sua scorta, in cui era presene anche Domenico Ricci, erano stati uccisi solo da poche ore e La Repubblica aveva già stampato un’edizione straordinaria sulla strage di via Fani. Come racconta a Vanity Fair, la prima cosa che notò all’epoca Giovanni Ricci fu quell’orologio che il genitore aveva ancora al polso. Il suo braccio spuntava da sotto lo sportello della Fiat 130. Solo dopo tanti anni di sofferenze, il figlio di Domenico ha deciso di trasformare quei due tragici ricordi in qualcosa di diverso. Per questo si è lanciato in una ricerca certosina, rubando ad amici e colleghi, libri e illusrtazioni, qualsiasi ricordo che potesse sostituire quei due fotogrammi. E ci è riuscito anche per quanto riguarda l’orologio d’acciaio, quello che il padre lasciava al di sopra del cassetto ogni notte, prima di addormentarsi. Un gesto che Domenico Ricci ha compito anche la sera precedente alla sua morte: “Ero giù perchè avevamo perso [a pallone, ndr]. Mi disse di non preoccuparmi”. Poi un’ultima carezza.