Se l’edizione 2017 della Notte degli Oscar è stata all’insegna della riscossa afro-americana e della rivalsa sugli Oscar troppo bianchi, la 90a volta dei premi assegnati dall’Academy è stata in un modo o nell’altra l’annata delle donne, quella del Me Too, Time’s Up e via di hashtag, del dopo-Weinstein celebrato però in un modo diverso dalle aspettative. Non è stata l’edizione delle Wonder Woman e nemmeno della Lady Bird di Greta Gerwig (quinta donna nella storia a essere candidata per la miglior regia), ma quella di Elisa Esposito, l’inserviente muta protagonista de La forma dell’acqua, il film fantasy di Guillermo Del Toro che ha vinto il premio come miglior film, oltre a quelli per la regia, le musiche e la scenografia. Tra i vari record del film (uno dei rarissimi casi di fantasy premiato come miglior film, oltre a essere il primo film vincitore del Leone d’oro a vincere anche un premio Oscar come miglior film) c’è anche quello di essere il primo con protagonista femminile a vincere dai tempi di Million Dollar Baby di Eastwood, 13 anni fa. 



E la donna di Del Toro, senza facili prosopopee politiche o revanchismi, è una donna forte, consapevole del proprio desiderio e del proprio corpo, capace di utilizzare sesso e amore per difendere scelte e ribaltare ruoli: un film politico perché dalla parte di tutti i diversi, perché pieno di riferimenti all’attualità, ma anche perché usa le armi del cinema fantastico, del sogno e della voluttà fisica per combattere la sua battaglia. La quota afro però non è stata tralasciata visto che Get Out, l’horror paradossale di Jordan Peele, ha vinto un discutibile premio per la miglior sceneggiatura originale. 



Tra i vari candidati, il più atteso in Italia era Chiamami col tuo nome, il film di Luca Guadagnino tra i più amati dalla critica mondiale che ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura grazie al lavoro di un grande vecchio come James Ivory, il più anziano a vincere una statuetta. Tra i premiati avrebbe meritato forse miglior fortuna, Tre manifesti a Ebbing, Missouri, il trascinante noir di Martin McDonagh che ha portato a casa i premi per la miglior attrice protagonista, Frances McDormand, e il miglior attore non protagonista, Sam Rockwell; il migliore attore protagonista è stato prevedibilmente Gary Oldman, redivivo Churchill in L’ora più buia di Joe Wright, ma il premio al miglior trucco dato allo stesso film rivela in parte la natura di quell’interpretazione, più di make-up forse che attoriale; mentre la migliore attrice non protagonista è risultata Alison Janney in Tonya. 



Tra i premi tecnici, trionfi consolatori e sacrosanti per Dunkirk, uno dei migliori film dell’anno, vincitore per il miglior montaggio, il miglior sonoro e il miglior montaggio del sonoro, mentre al sottovalutato Blade Runner 2049 sono andati gli Oscar agli effetti speciali e alla fotografia del magnifico Roger Deakins, alla prima vittoria dopo 14 nomination. Obbligatori infine i migliori costumi per il magnifico Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson che sugli abiti di Mark Bridges fonda parte del racconto. 

A ribadire anche la vena politica sottile, e per questo più efficace rispetto al manifesto anti-Trump dello scorso anno, i premi a Coco, il film “messicano” targato Pixar che ha vinto miglior film animato e miglior canzone, e Una donna fantastica, il film di Sebastian Lelio che con la sua protagonista transgender ha sfidato gli stereotipi e ha vinto il premio per il miglior film straniero a coronare un’edizione che da molto tempo non vedeva film di così alto livello (basti pensare che a bocca asciutta è rimasto un film come The Post di Spielberg) e che hanno fatto della loro qualità il vero terreno di scontro politico. Molto più delle dichiarazioni programmatiche.