Fino a che punto è giusto tenere nascosti al popolo i segreti di Stato? E quali sono i confini della libertà del Presidente americano? Queste e altre domande serpeggiano nel film di Peter Landesman, che prima di passare al cinema lavorava come giornalista investigativo, un background che affiora nel ritmo e nei toni di The Silent Man. 



Siamo nel 1972, a Washington, dove Mark Felt (Liam Neeson) è vicedirettore dell’FBI. Felt crede fortemente nell’autonomia dell’agenzia investigativa rispetto alle ingerenze politiche, ma la situazione mette a dura prova il suo operato. Alla morte del suo capo, che garantiva la stabilità del sistema, non è lui a essere nominato direttore, ma Pat Gray (Marton Csokas), un uomo troppo legato alla Casa Bianca. Il Presidente Nixon punta a essere riconfermato alle prossime elezioni, che si terranno a breve, ma la sua campagna elettorale è segnata da scandali e sospetti di spionaggio. È l’inizio del Watergate, il celebre caso che porterà alle dimissioni del Presidente. 



Le indagini dell’FBI vengono ostacolate dalla Casa Bianca, che vorrebbe soffocare ogni accusa in nome della sicurezza nazionale. Felt non ci sta e porta avanti la sua battaglia, scegliendo di rivelare informazioni segrete alla stampa con il nome di Gola Profonda e cambiando le sorti della politica. Solo nel 2005 rivela, durante un’intervista, di essere il misterioso informatore che ha permesso a Bob Woodward e Carl Bernstein di smascherare gli imbrogli di Nixon e del suo staff. 

Il film, caratterizzato da tinte opache, primi piani e un ritmo forse eccessivamente lento, segue le vicende dell’uomo che, in segreto, riuscì a manovrare una situazione spinosa e delicata, consapevole dei rischi ma anche del proprio potere. Felt sapeva troppo per essere rimosso dal suo incarico e nemmeno la Casa Bianca poteva fermarlo. La storia è basata sulla sua autobiografia, resa pubblica nel 2006, e tocca il tema della lotta sotterranea tra poteri, che si svolge in segreto e che influenza le sorti del mondo. 



Accanto alla dimensione politica, si cerca di raccontare la vita privata di Felt attraverso la vicenda della figlia, fuggita di casa per avvicinarsi al movimento Weather Underground, contrario alla politica di Nixon e alla guerra in Vietnam. Questa trama secondaria non funziona del tutto, forse perché si concentra nell’ultimo atto senza che lo spettatore abbia modo di appassionarsi alla vicenda. La maggior parte del film si regge così sull’interpretazione di Neeson, sulla sua capacità di lasciar trasparire sentimenti non dichiarati e di fare intuire allo spettatore la battaglia interiore del protagonista, anche attraverso i silenzi e le sigarette fumate in solitudine. 

Nel complesso, The Silent Man è un film da vedere per aprire gli occhi su ciò che accade dietro la superficie, per capire che la vita politica è molto più complessa e oscura di quanto la gente immagini. Celare o rivelare certe informazioni può cambiare il corso della storia: per questo siamo spinti a riflettere sulla responsabilità di chi, come Felt, deve scegliere per cosa combattere. E in silenzio, sceglie la verità.