L’arresto di Alberto Ogaristi, avvenuto nel settembre del 2015, ha dato la possibilità alla stampa di additarlo come uno degli ultimi latitanti dei casalesi. Il clan mafioso lo avrebbe visto come uno dei fedelissimi della famiglia Schiavone, ma le autorità erano decise ad acciuffarlo anche per un altro motivo. Ogaristi viene infatti accusato di essere il responsabile dell’omicidio di Antonio Amato, uno degli affiliati della famiglia Tavoletta. Un testimone presente sulla scena del crimine punterà il dito contro l’uomo e spingerà le forze dell’ordine a considerarlo l’unico responsabile, per via della guerra innescata fra il clan della vittima e la famiglia Bidonetti, di cui fa parte l’accusato. Il caso di Alberto Ogaristi verrà trattato nella puntata di Sono Innocente di oggi, domenica 22 aprile 2018, in onda su Rai 3. Diverso tempo dopo l’arresto di Ogaristi, mentre prende piede il suo incubo personale, un pentito inizia a indicare Luigi Grassia come il vero responsabile del delitto Amato. Le sue parole tuttavia non verranno prese in considerazione dai giudici, nemmeno quando alla prima rivelazione, scrive il Corriere del Mezzogiorno, si aggiungeranno le parole di altri due pentiti, Oreste Spagnuolo e Emilio Di Caterino. La Corte d’Appello di Roma indicherà infatti nel verdetto che la revisione del processo non può avere luogo, dato che le dichiarazioni dei pentiti sono da considerarsi inattendibili. 



La latitanza di Alberto Ogaristi

Il caso di Alberto Ogaristi inizia 18 febbraio del 2002, quando Antonio Amato viene ucciso nell’ambito della faida di camorra a Villa Literno. Tutto ruota attorno a un testimone che indica Ogaristi come il killer del mafioso. Il testimone è un uomo di origini albanesi legato alla vittima in quanto cognato, fidanzato della sorella di Amato. Ogaristi verrà subito portato in Caserma per un interrogatorio ed anche se informerà subito le forze dell’ordine di essere innocente, fornendo anche un alibi, la fidanzata dell’epoca non conferma le sue parole per un motivo oscuro. Tempo dopo la ragazza avrà modo di ritrattare tutto in tribunale e Ogaristi verrà rilasciato, ma il suo destino è nelle mani del testimone e del pm. Quest’ultimo infatti richiederà in Appello che il verdetto di assoluzione si trasformi in ergastolo per via della parentela dell’accusato con uno dei boss del clan dei Casalesi. Ogaristi tuttavia decide di non finire in carcere e diventa latitante, mentre le autorità iniziano la sua caccia, fino ad acciuffarlo nel luglio del 2007. Come scrive Il Corriere del Mezzogiorno, famiglia e conoscenti faranno petizioni e manifestazioni, ma cadranno tutte nel vuoto. L’uomo verrà condannato in ergastolo per omicidio volontario grazie ad una sentenza della Cassazione. In questo scenario va però tenuto in considerazione un altro particolare. Nello stesso periodo di tempo il testimone che lo ha indicato come assassino sparirà nel nulla. Il riconoscimento del latitante quindi verrà collegato solo alla sua foto segnaletica. 



L’assoluzione dopo cinque anni di carcere da innocente

Quattro anni di carcere prima che la verità inizi a emergere. Alberto Ogaristi dovrà attendere ben di più per ritrovare la sua libertà. Nel 2008, il pentito Massimo Iovine decide di raccontare la verità sul delitto di Antonio Amato e indica come veri responsabili Gaetano Ziello, Luigi Grassia e Luigi Guida, tre che verranno incarcerati nel giro di poco tempo grazie ai riscontri di Vincenzo Caputo, all’epoca gip di Napoli. L’identificazione dei colpevoli avrebbe dovuto di conseguenza permettere ad Ogaristi di ritornare libero, ma non sarà così. Dovrà attendere in tutto 12 anni di accuse perché la Corte d’Appello di Firenze, scrive Il Mattino, lo assolva dalle accuse. Il più grande rammarico del muratore di Casal di Principe sarà di dimostrare la propria innocenza solo in seguito alla morte del padre, a cui dedicherà la sua assoluzione. Il suo nome tuttavia rimarrà impresso nella stampa italiana come il latitante che è riuscito a sfuggire all’operazione “Spartacus reset” dell’Antimafia e associato in modo indelebile al clan Schiavone di Casal di Principe. La sua colpa, a quanto sembra, è principalmente quella di aver vissuto in quella Gomorra fatta di lotte e faide intestine, non solo fra mafia e Stato ma anche fra le famiglie stesse, i clan locali. 

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