Reinhold Messner parla della montagna: “Non è solo un fatto geologico: esiste perché la raccontiamo”. Per Messner, è una questione “religiosa”. Perché affrontarla è una sfida agli dei, ma è anche un legame di passione”. Lunedì prossimo, La montagna sacra aprirà la rassegna trentina di cinematografia. Con lui anche Luca Argentero: “E’ difficile trasporre su pellicola una storia del genere. Parlo di logistica: le location sono sempre impervie”. Deriva filosofica: “Con internet, siamo quasi come Dio. Qualcuno dice che siamo prossimi a un’evoluzione divina: tra qualche anno, probabilmente, ci reinventeremo”. Poi racconta la scalata dell’Everest: “Faceva un freddo cane: fra i 30 e i 40 gradi sotto zero. Le speranze di farcela erano scarsissime”. [agg. di Rossella Pastore]



LA SCALATA DELL’EVEREST

Il nome di Reinhold Messner rimarrà nella storia mondiale dell’alpinismo per via dei suoi record e per l’importante traguardo raggiunto nel 1978. Leggendario, è riuscito a intraprendere la prima scalata più alta senza l’ausilio di bombole per l’ossigeno, al fianco di una spedizione formata da 12 alpinisti in tutto, determinati a realizzare quella che all’epoca veniva considerata un’impresa impossibile. Messner fu infatti il primo a raggiungere la vetta dell’Everest al fianco di Peter Habeler, precedendo i 200 scalatori che negli anni successivi cercarono di imitare le loro gesta. Lo stesso Reinhold Messner ha compiuto la stessa scalata da solo a due anni di distanza e oggi sarà fra gli ospiti di Che tempo che fa. Il programma di Fabio Fazio omaggerà così lo storico alpinista per due motivi: siamo vicini al 40° anniversario di quel fatidico giorno; lo scorso giovedì Messner ha ripetuto il percorso che gli ha permesso di incidere il proprio nome in modo indelebile nella storia dell’alpinismo.



REINHOLD MESSNER, LA SCALATA ALL’EVEREST DI 40 ANNI FA

C’è da dire che Reinhold Messner ha voluto prendere le distanze da quello che sono diventati a oggi la scalata nepalese e il percorso che conduce fino alla più alta vetta dell’Everest. Un’impresa ormai turistica, come ha sottolineato al The Himalayan Time. Il Nepal ne ha bisogno di certo, ma non va confuso con l’alpinismo. I rischi e le difficoltà del resto non vanno sottovalutati e agli occhi dell’eroico alpinista ci sono fin troppi scalatori inesperti che si cimentano in operazioni di questa portata senza avere alcuna preparazione necessaria.  A distanza di 40 anni dalla prima scalata dell’Everest senza bombole d’ossigeno, Reinhold Messner e i sopravvissuti del team di 12 alpinisti si sono ritrovati lo scorso 19 marzo per celebrare il grande evento. Un trionfo individuale dovuto alla supremazia di Messner e Peter Habeler e collettivo visto che a diversi giorni di distanza si è unito anche il resto del gruppo. Di quello squadrone tuttavia sono ancora in vita solo otto elementi, oltre a Messner.



L’OMAGGIO DEL NEPAL

Il ritorno all’Everest è stato inoltre immortalato in un documentario di 90 minuti realizzato dall’Austrian Broadcasting Corporation e si intitolerà Land of the Mountains. Anche il Nepal si è voluto unire ai festeggiamenti, consegnando agli storici scalatori un riconoscimento ufficiale per il turismo, così come un premio da parte dell’Associazione Alpinismo del Paese. Un’occasione in più per Messner per sottolineare come il vero alpinismo comprenda anche la riduzione degli ausili tecnici, soprattutto quando si parla della scalata delle 14 vette che superano gli 8 mila metri. Senza considerare che ai tempi del suo record, era l’alpinista a tracciare i percorsi e stabilire quali rotte perseguire. Al giorno d’oggi, ha sottolineato a Kyodo News, è invece lo sherpa a guidare le spedizioni e gli scalatori fino alla meta. Non sono critiche nuove nel mondo dell’alpinismo, dato già in passato altre voci si erano sollevate in Nepal contro i regolamenti troppo “buonisti” previsti per chi cerca di conquistare il picco di oltre 8 mila metri.