Philip Goodman è un noto personaggio televisivo, conduttore di una trasmissione di successo che smaschera le truffe alla base di molte storie, apparentemente presentate come episodi spiritici e paranormali. Un giorno riceve un pacco che si rivelerà essere inviato da un noto psicologo del paranormale, Charles Cameron, suo predecessore in questa battaglia di verità. Cameron, in evidente stato confusionale, chiederà a Goodman di risolvere gli irrisolvibili misteri alla base di tre casi per lui irrisolti. Capaci di risvegliare i dubbi del più scettico degli scienziati del reale.



Ghost stories conquista, fin dai suoi primi minuti, per lo stile elegante, sfizioso e originale del racconto. Si narra la storia di un’ossessione, quella del protagonista, Philip Goodman, nata molto probabilmente come reazione all’educazione ricevuta fin da bambino. Formato rigidamente attorno alle impalpabili certezze della fede religiosa dell’odiato padre padrone, Philip cresce detestando tutto ciò che non esprime forma, razionalità, concretezza. Il suo fascino per il paranormale è in realtà la sua sfida esistenziale per smascherare tutto ciò che realtà non sembra essere.



La visione del mondo di Philip contempla solamente le ferree regole della scienza che è la base della trasmissione “Bufale paranormali”, che conduce con successo. Gli spiriti non esistono, l’occulto tanto meno: esistono solo ladri, truffatori e lestofanti. Su questa certezza egli fonda la sua ricerca della verità nelle storie di tre uomini, dense di mistero irrazionale e spiazzante che risveglia in lui il dubbio dell’inimmaginabile.

Da questo prologo prende via via forma una storia di orrore, divisa in episodi, che troveranno compimento in una degna e sorprendente conclusione. Una conclusione che svela il mistero dell’assurdo, apre gli occhi dello spettatore attonito e prova a rivalutare un film che, progressivamente, episodio dopo episodio, perde un po’ la credibilità del racconto e la misura del buongusto, sforando a tratti nella goffa ironia degli eccessi horror.



Ghost Stories è dapprima un originale documentario paranormale che piega poi nel più ordinario repertorio di genere, ricco di inquietanti atmosfere che troviamo in molto cinema horror di ieri e oggi, incluso quello di Dario Argento, di cui si fa omaggio, tra i tanti omaggi al passato. La regia, di Andy Nyman e Jeremy Dyson, al loro primo lungometraggio, è abile e sembra trarre la giusta ispirazione dalla lunga esperienza che li ha uniti, in precedenza, alla guida della stessa storia raccontata, con straordinario successo, a Londra e poi a Toronto, Shanghai, Lima, Sydney e Mosca.

La tensione scorre, con alti e bassi, tra le storie dell’assurdo mentre uno sguardo attento racconta le paure di personaggi credibili e perfino a tratti interessanti. Su tutti il protagonista Goodman, un brav’uomo, onestamente ossessionato dal suo passato. Oltre alla coerenza e credibilità di “genere”, forgiata a partire dalla genuina e appassionata memoria adolescenziale, si scorge l’originalità di una storia che si compone incerta fino alla fine, sballottando lo spettatore tra sentimenti positivi e negativi, tra paura e sdegno, tra emozione e finzione. In una dialettica vivace tra le suggestioni del ragazzino ingenuo e le domande dell’adulto scettico.

Un film che scorre, rapidamente, per due ore scarse, cercando di tenere viva la paura che dà il proprio senso al tempo speso al cinema. Pur non senza difetti, Ghost Stories offre il proprio contributo originale nell’infinito inventario dell’horror contemporaneo che, a breve, invaderà le sale estive del nostro Paese.