Silvio Berlusconi. E poi Veronica Lario. E ancora Giampaolo Tarantini, Stefano Ricucci e un po’ della corte dei politici vicini, fino all’apparire di Noemi Letizia. Lo sguardo corrosivo di Paolo Sorrentino ci accompagna negli anni Duemila, quando Tarantini costruiva l’harem dei privilegi che hanno poi portato agli scandali del bunga bunga. Un racconto di finzione, secondo quanto dichiarato dal regista, che narra fatti verosimili o inventati in Italia, tra il 2006 e il 2010.
Ridere, per non piangere. Questo sembra essere l’approccio narrativo della nuova fatica dell’acclamato regista italiano. Loro 1 non riesce a essere un film biografico. C’è storia, e insieme molta leggenda. Fatti, e insieme molta immaginazione. C’è il racconto dell’Italia recente: Silvio Berlusconi appena sostituito da Romano Prodi, con un principio di appannamento ma nel pieno dell’onda lunga del suo modello culturale.
Sorrentino non si interessa di politica, ma di società. Non guarda solo al Cavaliere, ma a tutti quelli che gli ruotano attorno, come fossero pianeti attorno al Sole. Sono Loro. Quelli che contano. E attorno a Loro, gli altri. Quelli che vogliono disperatamente contare. È il sottobosco, il “ciarpame senza ritegno”, che domina la politica, il potere, le relazioni personali, la società. Un quadro sconfortante, disturbante, surreale.
L’universo femminile immolato al sogno erotico dell’apparire. Il corpo mercificato non più della mente che tutto ammette, concede, avvalora. Una sfilata di corpi in attesa di consumare e di consumarsi, per luccicare, almeno una volta, della luce riflessa dell’uomo a cui tutto è concesso. Nel rito della finzione il sorriso si allarga insieme alle gambe accoglienti che invocano attenzione. Un pegno da pagare per sé, un investimento sul futuro, merce di scambio per gli altri. Uomini e donne, trafficanti d’anime.
In questo vomitevole inferno dantesco Berlusconi è semplicemente Lui, innominato e innominabile, padrone del circo, dominus del girone dei lussuriosi, e dei gironi confinanti. Sorrentino vuole indagarne la mente e i suoi segreti, maestro nell’arte del fare e del parlare. “La verità è frutto del tono con cui parli”, rivela un generoso Servillo, addobbato a Cavaliere, al caro nipote da istruire alle cose del mondo. Ecco svelato, in pochi secondi, il miracolo della retorica, da vent’anni a questa parte.
Un sorriso smagliante, autocompiacente e delirante di onnipotenza, che domina l’esercito dei servi, una pletora di maggiordomi affamati di carne e denaro. Uno spettacolo di dolore e decadenza, per strappare una manciata di posti in prima fila, sul davanzale che guarda sul paradiso di plastica.
Tutto vero, tutto falso. Poco conta, forse, in questa fiaba al contrario. Visto dall’alto, Berlusconi non è che una comparsa in un mondo a consumo che ha smarrito non solo gli uomini virtuosi, ma anche l’illusione, o il modello, degli uomini virtuosi. Un mondo guidato da persone in saldo a caccia di saldi. Ma forse è un brutto sogno, è solo un brutto sogno quello di Sorrentino, che sceglie il registro grottesco, spingendosi oltre la grande bellezza. Una scelta sguaiata, caricaturale, perfino discutibile.
L’unico modo forse, secondo il regista, per parlare del passato che non finisce mai. Concedendosi il lusso dello scherzo. Che comunque non impedirà lo scorrere delle critiche politiche, morali e sociali. Un film che colpisce, sconcerta, disturba. Mai banale, mai cruciale. Perfettibile, come inevitabilmente dev’essere. Falsamente storico, falsamente politico, prepotentemente egocentrico.
Dopo il primo capitolo, ci piace immaginare che in fondo sono Loro, sono gli altri. Che il nostro mondo è fatto da milioni di italiani. Che hanno idee diverse, valori diversi. Italiani che combattono. L’importante però è sapere che combattono davvero per un mondo diverso e non per prendere il loro posto in prima fila.