Avengers: Infinity War è una pietra miliare dell’universo cinematografico Marvel, al di là della sua qualità, perché per questo è stato pensato: fare da spartiacque tra i primi 10 anni di attività dei Marvel Studios, inaugurati nel 2008 con Iron Man, e il futuro, in parte programmato in parte da scrivere, pensato gattopardianamente affinché tutto resti uguale (successo e spettacolo) pur cambiando tutto. 



Il film, diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo, vede al suo centro il cattivo Thanos, il cui obiettivo è raccogliere tutti i poteri dell’infinito – simboleggiati da 6 gemme colorate – per poter dominare l’assoluto e portare a termine il suo piano: riequilibrare l’universo e la sua sovrappopolazione sterminandone la metà degli abitanti. 



Attorno a questo villain titanico ruotano quasi tutti i personaggi dell’universo Marvel a partire dagli Avengers fino ai Guardiani della galassia, che dovranno cercare di fermarlo. L’idea alla base della sceneggiatura di Christopher Markus e Stephen McFeely è semplice: riunire tutti i personaggi possibili, farne una sorta di resa dei conti (che si chiuderà con il 4° film degli Avengers, previsto per il 2019) e gettare le base dei prossimi franchise. 

Il come la coppia di sceneggiatori e la coppia di registi hanno deciso di sviluppare questa idea lungo due ore e mezza di fantasy e fantascienza è la cosa più interessante: Infinity War cerca di spaziare in modo imprevedibile ed esibito tra tutti i luoghi, i toni, gli specifici spettacolari dei singoli franchise, non cerca un compendio dell’universo Marvel, ma l’elenco e la catalogazione reinventati attraverso mix imprevedibili, in cui il salto tra i pianeti e i microcosmi più disparati dà vita a una narrazione tanto imprevedibile quanto efficace, in cui l’inizio in medias res e i viaggi planetari vengono da Star Wars e Star Trek, l’humour e l’azione dal blockbuster urbano, il cattivo e le sua aspirazione dalla tradizione tragica e classica. Un calderone inaspettato, appassionante ed estremamente contemporaneo nel guardare alla serialità tv e alla decostruzione del videogame come orizzonte per ammaliare il proprio pubblico. 



Proprio per questo i fratelli Russo si spengono un po’ e fanno rientrare Infinity War nel novero più comune e convenzionale del cine-comic quando fanno confluire le linee narrative in un unico luogo – non casuale: la Wakanda al centro di Black Panther, il clamoroso e inaspettato successo del 2018 – e in un’unica azione, la solita monumentale, infinita battaglia. Certo, il finale è clamoroso nell’ottica del filone e anche se probabilmente sarà ribaltato dal prossimo capitolo lascia una sensazione (letterale) di cupio dissolvi; ma Infinity War mostra fin troppo la corda del suo progetto produttivo, come se il fatto di essere un mero ingranaggio, seppure ambizioso perché deve “cambiare” l’intero meccanismo, sia più importante della possibilità di essere soprattutto un ottimo film d’intrattenimento.

Detto questo, non si può negare a Infinity War e di conseguenza ai 10 anni di Marvel Studios e ai loro 19 film (più Ant-Man and the Wasp in uscita a luglio) la diabolica capacità di essere intrattenimento hollywoodiano della miglior specie, capace di unire lo spettacolo cinematografico e la sperimentazione tecnologica su di esso, un senso di aria, respiro e movimento filmico (ogni volta che entra in scena SpiderMan, per esempio) che raramente nel cinema industriale e commerciale si vede, le risate, le lacrime e l’adrenalina. Parafrasando Wagner, uno spettacolo totale, anche quando inciampa e cade.