Lo chiamavano Diabolik per la sua capacità di arrampicarsi lungo le case, ma il suo vero nome è Emilio Zanini. Un nome che non verrà subito in mente agli inquirenti e concittadini, mentre si cerca l’assassino della giovane Roberta Riina, una studentessa di Partinico, in Sicilia, di appena 22 anni. Una vita che divideva fra gli impegni scolastici e la famiglia, un carattere generoso, solare, leale. Scavando nella sua giovane esistenza non verranno trovati nemici da cui avrebbe dovuto guardarsi le spalle oppure fidanzati che potrebbero essersi vendicati. Per diversi mesi, sei in tutto, il killer di Roberta Riina non verrà trovato. Un giorno in pretura nella puntata di oggi, sabato 12 maggio 2018, si occuperà del caso di Emilio Zanini, il vagabondo accusato dell’omicidio di Roberta e condannato in via definitiva a 22 anni di reclusione. Il programma prenderà in esame in particolare il processo della Corte d’Assise di Palermo. Una personalità originale e solitaria: un lucido assassino o uno sbandato, incapace di intendere e volere? Per il pm Ambrogio Cartosio, ricorda Il Corriere della Sera, l’imputato merita la compassione delle autorità per via dello stato d’abbandono che lo ha visto confinato non solo da familiari e conoscenti, ma soprattutto dai servizi sociali e di sostegno. Nessuno sembrava ricordarsi della sua esistenza, così come non verrà subito associato al delitto di Roberta. A riconoscerlo sarà invece un’altra potenziale vittima, Rita Greco, che dopo essere riuscita a sfuggire al suo aggressore, fornirà le prove necessarie agli inquirenti per collegare il suo caso a quello di Roberta.



EMILIO ZANINI, UN OMICIDIO RACCAPRICCIANTE

Il barbaro omicidio di Roberta Riina è descritto in modo dettagliato nell’accusa contro Emilio Zanini. All’epoca dei fatti 42enne, il vagabondo di Partinico avrebbe scalato il primo piano della casa in cui viveva la vittima, l’avrebbe violentata mentre era in fin di vita ed infine uccisa. Una morte brutale per la 22enne che quel 18 ottobre del 2005 esalerà il suo ultimo respiro. Le prime piste seguite dagli investigatori riguardano i familiari della giovane vittima, per via di un particolare presente sulla scena del crimine e che avrà un peso importante fin dal processo di primo grado a carico di Zanini. Quest’ultimo infatti avrebbe chiuso le persiane dell’appartamento dall’esterno, in modo che si escludesse la possibilità che l’aggressore di Roberta fosse entrato da quel passaggio. Per questo i sospetti ricadono subito sui parenti e amici stretti della vittima, a partire dalla sorella. Una modalità che alcuni mesi più tardi Zanini userà anche per entrare a casa di Rita Greco, sottolinea La Repubblica, una donna di Partinico di 38 anni che ha pedinato fin dal bar in cui lavorava. Una vittima con lievi problemi psichici ma che è riuscita a reagire quando ha sentito le mani di Zanini strette attorno al collo, strappandogli persino una ciocca di capelli. Sarà però la saliva prelevata a casa del sospettato a collegarlo in modo diretto all’omicidio di Roberta Riina. E la giustificazione successiva data dal vagabondo al suo arresto, ‘volevo solo fidanzarmi’, solleverà subito il dubbio che non fosse in grado di intendere e volere durante le due aggressioni.



L’ARRESTO PER L’OMICIDIO DELLA GIOVANE

Emilio Zanini si poteva fermare prima che uccidesse Roberta Riina e aggredisse Rita Greco? Secondo i familiari della prima vittima la risposta non può che essere affermativa, soprattutto perché in seguito all’arresto dell’imputato per l’omicidio della giovane siciliana, sono emersi tutti i suoi crimini. Una fedina penale in cui furti fanno da padroni ed a cui si aggiunge anche una prima aggressione avvenuta nel 2003, due anni prima della morte della 22enne, messa in atto ai danni della nonna 80enne del vagabondo. All’epoca dei fatti, ha sottolineato il pm Ambrogio Cartosio durante il dibattimento, i Carabinieri accorsi sul posto scriveranno nella loro relazione che il soggetto è da ritenere altamente pericoloso. La Corte d’Assise d’appello confermerà nel 2009 la condanna a 22 anni di reclusione, così come la Cassazione, con un verdetto che comprenderà anche la seminfermità mentale. Anni di carcere a cui si devono sommare anche gli 8 anni comminati per la tentata aggressione ai danni di Rita Greco, nonostante i tentativi dei due avvocati difensori dell’imputato di dimostrare la totale infermità mentale del loro assistito.

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