Al Giappone e a uno dei suoi più grandi registi contemporanei è andata la Palma d’oro del Festival di Cannes 2018: Hirokazu Kore’eda con il suo bellissimo Shoplifters (per chi scrive il miglior film del festival) ha incantato la giuria presieduta da Cate Blanchett con la sua storia di una famiglia molto sui generis che tra un furtarello nei supermercati e un espediente per sopravvivere descrive un’idea molto precisa ed emozionante di società, di amore parentale, di rapporto con le istituzioni dentro un film di un sensibilità registica e di una complessità di scrittura che lo rende tra le migliori opere dell’autore.
Composta da molte donne e molto forti, la giuria ha cercato di evitare che il peso del tema del festival – ovvero la condizione femminile con manifestazioni ad hoc e film incentrati su questo tema diretti da donne – superasse il peso cinematografico delle singole opere e così il favorito alla vigilia Capharnaüm di Nadine Labaki, molto discusso e di fatto molto discutibile dal punto di vista cinematografico, si è dovuto accontentare del Premio della giuria, una sorta di consolazione deluxe, mentre il Grand Prix ovvero il secondo posto è andato a Blackkklansman, il coinvolgente film di Spike Lee sul razzismo dell’America dagli anni ‘70 a oggi.
Molte soddisfazioni per il cinema italiano, in crisi forse per gli incassi ma vivo e attivo per quanto riguarda la creatività di molti suoi autori: archiviata la polemica per l’esclusione di Loro di Paolo Sorrentino, i film nostrani hanno portato a casa premi e riconoscimenti critici. Dogman di Matteo Garrone ha vinto con il suo attore non professionista Marcello Fonte il premio per l’interpretazione maschile (per quella femminile ha vinto la protagonista del film kazako Ayka), Lazzaro felice di Alice Rohrwacher quello per la miglior sceneggiatura ex-aequo con Three Faces di Jafar Panahi, La strada dei Samouni di Stefano Savona il premio per il miglior documentario, Troppa grazia di Gianni Zanasi infine il premio Europa Cinemas Label nella sezione Quinzaine des réalisateurs. Quattro film di valore e vitalità cinematografica a cui si aggiunge Euforia di Valeria Golino, presentato al Certain regard.
È stata quella del 2018 un’edizione decisamente più ricca di buoni e ottimi film rispetto agli ultimi due anni, ma che comunque dal punto di vista mediatico ha fatto segnare un ulteriore passo indietro: un po’ per la mancata capacità di far tornare le star e le grandi produzioni specie americane (quest’anno solamente Solo: A Star Wars Story ha risposto all’appello), un po’ perché il modo di comunicare del festival – anche nella scelta dei film – sembra rimasto ferma a un’idea bella e onorevole di cinema, ma che sembra non saper davvero guardare alle nuove frontiere linguistiche e produttive, all’applicazione della tecnologia. Vedasi la polemica su Netflix e la distribuzione in sala che ha portato all’esclusione dei film della piattaforma e invece la concessione a Jean-Luc Godard di presentare in concorso (premiato con una Palma d’oro speciale) il suo saggio critico in forma di film Le livre d’image, che non sarà distribuito, ma andrà in tv, su Arte.
Ma a un cinefilo probabilmente interessano i buoni film e di quelli Cannes 2018 è stato per fortuna pieno: Cold War di Pawel Pawlikowski tra i migliori in gara e vincitore del premio della regia, En guerre di Stéphane Brizé sulle lotte sindacali in Francia (nazione rimasta inaspettatamente a secco nella premiazione), Burning di Lee Chang-dong vincitore del premio dei critici FIPRESCI. Ed è stato anche l’anno di film attesi e che faranno discutere come The House that Jack Built di Lars Von Trier, viaggio all’inferno con un serial killer che racconta la sua pazzia criminale con fare cinico e sgradevole, oppure il film di chiusura The Man Who Killed Don Quixote di Terry Gilliam che pone fine (forse) a una disavventura produttiva, realizzativa e infine giudiziaria durante 25 anni.
E che a coronamento di tutto questo, Cannes 2018 sarà ricordato come l’anno di un film che con minuzia di dettagli ed economia espressiva riesce a raccontare il massimo delle emozioni è il finale lieto che tutti gli spettatori sognano per un bel film. Lungo 12 giorni, più incasinato del solito, ma sempre appagante per gli amanti del cinema che hanno la fortuna di viverlo.