17 mesi di carcere prima che Carmine Belli venisse scagionato dall’accusa di aver ucciso Serena Mollicone. Una pagina tragica della cronaca italiana che ferma il tempo a quanto accaduto nel giugno del 2001. A differenza dei sospetti dei familiari, le indagini degli inquirenti si concentrano ad un certo punto sulal figura del carrozziere di Rocca D’Arce, in provincia di Frosinone, per via della mancanza di un alibi che confermasse dove si trovava quella mattina in cui Serena è stata vista entrare nella Caserma di Arce e non uscirne mai più viva. Sono Innocente ripercorrerà la vicenda giudiziaria di Carmine Belli, assolto da ogni accusa grazie al verdeto definitivo della Cassazione, come ricorda La Repubblica, nella puntata di oggi, domenica 6 maggio 2018. Un verdetto che non ha convinto il padre della vittima, Guglielmo Mollicone, sempre più convinto invece della sua colpevolezza. Nel corso del processo, ai suoi occhi Belli avrebbe persino lasciato intendere di aver avuto nei complici. Ed in questo quadro si affianca la richiesta dell’accusa che il corrozziere venisse condannato a 23 anni di detenzione, soprattutto per via di quel famoso bigliettino di proprietà di Serena che è stato ritrovato nell’officina dell’uomo. Un foglietto in cui la ragazza aveva segnato la data e l’orario dell’appuntamento con il dentista.



LA RICOSTRUZIONE DELL’ACCUSA A CARMINE BELLI

La ricostruzione dell’accusa che ha permesso l’incarcerazione di Carmine Belli inizia dall’abitudine di Serena Mollicone di spostarsi grazie all’autostop. Sarebbe in questa occasione che la mattina del giugno del 2001 avrebbe incontrato la ragazza, nell’Isola Liri. Secondo l’accusa il carrozziere avrebbe inoltre fatto delle avances alla ragazza ed al suo rifiuto avrebbe reagito colpendola sul volto con un oggetto. Solo in un secondo momento l’uomo avrebbe ultimato il delitto e si sarebbe sbarazzato del corpo, lasciandolo ormai privo di vita nel boschetto di Anitrella. Una tesi inesistente agli occhi dei legali di Belli, che fin dalle accuse che sono state mosse al loro assistito, hanno evidenziato come non ci fossero prove che confermassero la sua colpevolezza. Una visione che corrisponde con l’assenza di tracce della vittima nell’auto del carrozziere, così come le impronte del Belli sul corpo della ragazza e sui vestiti. A complicare la posizione dell’uomo era stata all’epoca la decisione dell’ex socio di ritirare la propria deposizione. Come ricorda La Repubblica, Pierpaolo Tomaselli aveva infatti inizialmente confermato l’alibi di Belli, indicandolo al’interno dell’officina nell’arco di tempo in cui Serena veniva uccisa.



UNA VITTIMA DELLA GIUSTIZIA, NON UN MOSTRO

Una vittima della giustizia e non un mostro. Si è definito così Carmine Belli in seguito al rilascio atteso per 17 mesi, trascorsi in carcere con l’accusa di essere l’assassino di Serena Mollicone. Il caso della giovane di Arce ha preso nuovo vigore negli ultimi tempi grazie alla determinazione del padre della vittima di non fermarsi e di volere giustizia per la morte della 18enne. Gli inquirenti infatti hanno abbandonato la pista di Belli seguendone un’altra più importante, che accende i riflettori sui Carabinieri presenti nella Caserma di Arce quel triste giorno. Si parla dell’ex Comandante Mottola, del figlio e della moglie, così come di altri due Carabinieri che erano in servizio quel giorno. Anche se il carrozziere è stato assolto, la sua preoccupazione è stata invece cercare di riabilitarsi agli occhi dell’opinione pubblica. Come rivelato a Storie Vere, Belli spera che siano proprio le nuove indagini ad annullare qualsiasi dubbio ancora vivo nella comunità in cui vive. Del giorno del suo arresto, avvenuto nel febbraio del 2003, il carrozziere ricorda la consapevolezza di aver intuito di essere diventato il capro espiatorio per il delitto di Serena Mollicone. I primi sei mesi di carcere sono stati particolarmente duri per Belli, guardato a vista dalle guardie del penitenziario. Solo in seguito la direttrice gli avrebbe offerto un lavoro all’interno della struttura.

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