Aldo Moro rappresenta una delle figure più importanti della politica italiana. La sua morte rappresenta, ancora oggi, una parte oscura della storia italiana. A 40 anni dalla scomparsa di Aldo Moro, la Rai ha deciso di dedicare una serata speciale allo stagista. A portare avanti il nome e il ricordo di Aldo Moro è il figlio Giovanni che, in un’intervista rilasciata ai microfoni de La Repubblica, ricordando il sequestro del parte e la sua morte, ha detto: “mio padre è sulla scena politica come un fantasma. I fantasmi cosa sono? Morti che ritornano a ricordare dei doveri nei loro confronti che non sono stati compiuti. Non sono in pace, non lasciano in pace coloro che sono vivi. È esattamente così”, ha spiegato Aldo Moro. Da quarant’anni, infatti, nome dello stagista continua ad essere al centro delle vicende politiche. Molti hanno tentato di portare avanti l’ideologia di Moro senza riuscirci (aggiornamento di Stella Dibenedetto).
DOPO IL SEQUESTRO DI ALDO MORO, UNA FRATTURA TRA CITTADINI E POLITICA
Sono passati quasi 40 anni dal delitto di Aldo Moro, uno dei momenti più tragici della democrazia italiana del Dopoguerra. Un avvenimento che Giovanni Moro, figlio del politico ucciso dalle Brigate Rosse, ha ancora vivi nella mente e che sono diventati oggetto di studio e di ricerche da lui stesso effettuate. Ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa la scorsa domenica, Giovanni ha infatti portato alla memoria la grande tragedia, cercando di ricreare anche uno spaccato del contesto sociale e politico in cui l’attentato è stato compiuto. A tal proposito il Governo avrebbe a suo avviso avuto un ruolo determinante a causa della scelta di non decidere nei momenti decisivi della trattativa con i rapitori: “Le motivazioni mi hanno fatto pensare a un incantesimo, un ‘sonno’ che colpì tutti. Andreotti in primis: per equità rispetto ai precursori, lasciò morire qualcun altro”, ha dichiarato il figlio di Aldo Moro alle telecamere di Fabio Fazio.
GIOVANNI MORO E L’ACCUSA ALLO STATO
Giovanni Moro ha parlato della morte del padre nell’ultima puntata di Che tempo che fa, non rinunciando a lanciare accuse e critiche nei confronti del sistema politico dell’epoca che ha preferito tirarsi indietro nel momento decisivo. Era il 9 maggio di quarant’anno fa e il cadavere del padre fu ritrovato adagiato nel bagagliaio di una R4 rossa, parcheggiata a metà strada tra Piazza del Gesù, dove si trovava la sede della Democrazia, e via delle Botteghe Oscure, dov’era il quartier generale del Pci. Tale delitto è considerato da Giovanni Moro un dramma privato ma anche una tragedia pubblica, come precisato dal figlio del politico ucciso in una recente intervista al quotidiano la Repubblica: “In quei 55 giorni lo Stato decise di non decidere: né trattò con i terroristi né tentò di prenderli. Bisognava seguire una delle due strade”, ha rivelato, “Non c’è ancora verità, nè quella storica, nè quella giudiziaria, e tantomeno quella politica. Moro non fu colpito perché era un simbolo, come si disse, ma per fare un’operazione chirurgica sulla politica italiana, per fermare il suo progetto”.
LO SCRITTO SULLA POLITICA E LA GIUSTIZIA
Giovanni Moro non si reputa affatto soddisfatto delle indagini svolte in seguito alla morte del madre, che a suo avviso potrebbero essere state fatte diversamente. Nell’intervista a La Repubblica ha infatti precisato: “Perché non hanno reso pubblico tutto ciò che ha raccontato mio padre? E perché lo uccisero proprio quando nella Dc si era aperto uno spiraglio? E, infine, perché lo Stato non fece nulla per salvarlo?… Andreotti era il capo del governo, il responsabile politico … E Cossiga? In qualsiasi paese, un ministro dell’Interno a cui fosse capitata una disgrazia del genere, sarebbe finito a coltivare rose…” Un punto di vista riconfermato anche durante la sua intervista a Che tempo che fa, dopo la lettura di alcune scritte da Aldo Moro nel 1945 e rilette da Luca Zingaretti. Giovanni Moro ha infatti ammesso: “Dal sequestro Moro si è creata una frattura tra cittadinanza e sistema politico che ancora paghiamo”.