È il film cult sul calcio, uscito al cinema nel 1984 è ancora attuale. Parliamo de L’allenatore nel pallone con il mitico Lino Banfi. Al galà del nuovo governo italiano il capo della Lega, Matteo Salvini, si è intrattenuto con l’attore chiamandolo Oronzo Canà e parlando della Bizona, ovvero il 5-5-5.
Ho intervistato Banfi al Festival di Venezia del 2014 e mi disse che la scelta del nome dell’allenatore della Longobarda la propose nientemeno che Nils Liedholm; a dire il vero, gli chiese di girare un film su Oronzo Pugliese, focoso allenatore degli anni Sessanta e Settanta. Da lì l’idea di Oronzo Canà, cognome da legare al nome della moglie Mara, dando vita all’esilarante gag sullo stadio Maracanà.
Il film è godibilissimo, una commedia italiana che mette in risalto le doti comiche di Banfi, ma al tempo stesso anche una sceneggiatura semplice, ma non banale. Rivedetelo ascoltando solo le battute e vi accorgerete della scrittura che ci sta dietro. Le parolacce ci sono, ma son dette alla pugliese da Banfi.
Lino, grandissima maschera comica, interpreta l’allenatore della Longobarda promossa in serie A, e tira fuori il meglio della sua verve sia facciale che battutistica. Ci sono poi Gigi (Giginho) e Andrea, scalcagnati talent-scout brasiliano e direttore sportivo.
E qui entrano in gioco gli equivoci e i tentativi di truffa alla Totò. C’è posto anche per la moglie sexy del presidente cornuto, per il mesto Crisantemi, panchinaro della squadra che, secondo Oronzo, è il porta-sfortuna della Longobarda, per la suocera cantante lirica, per i due tifosi gemelli. E poi c’è il calcio con Ancelotti, Chierico, Graziani, Pruzzo, De Sisti, Spinosi e Liedholm.
Il navigato e bravo regista Sergio Martino si è divertito alla grande girando il film: è stato in Brasile al Maracanà, ha avuto l’idea poi di riprendere varie partite calcistiche vere con squadre che, giocando in trasferta, allora, avevano la divisa color bianco. Così ha fatto poi vestire dello stesso colore la Longobarda. Sono stati inseriti i personaggi più significativi dei media dell’epoca: il telecronista Martellini e il giovane giornalista Fabrizio Maffei, il magro “Bisteccone” Galeazzi e il grande Aldo Biscardi con il suo Processo. Non poteva mancare poi un cronista checceggiante de La Gazzetta dello Sport. Esilaranti le scene girate in Brasile con Gigi e Andrea, nonché l’equivoco con il medico-calciatore Socrates: Canà, pur di ingaggiarlo, si fa operare di appendicite. Peccato che il chirurgo sia solo un omonimo.
Si ride per questo film e si gioca anche a calcio, la star è Aristoteles, trovato in Brasile in un campetto a fianco del Maracanà. Questi, Urs Althaus, ha partecipato come attore ne Il nome della rosa, ma c’è da dire che a pallone sapeva veramente giocare, avendo militato con lo Zurigo Calcio nel campionato svizzero.
C’è un’esplicita presa in giro degli allenatori e dei procuratori, dei vezzi e delle stramberie dei presidenti-padroni. In un’inquadratura si vede la mano con l’orologio sopra il polsino della camicia, cioè l’Avvocato, ma chiaramente non è la sua, bensì quella del regista Sergio Martino.
Il presidente Borlotti alla fine si sbottona: ha voluto come allenatore lo sfigato Canà per tornare in serie B, visti i costi della serie maggiore. Ma Oronzo nell’ultima partita ha uno scatto d’orgoglio, fa entrare la stella brasiliana, che con una doppietta capovolge il risultato e la Longobarda resta in serie A. Canà viene esonerato sul campo, ma osannato dalla folla, che con i due tifosi gemelli viene portato in tripudio. Nasce la battuta cult che Lino ha improvvisato al momento, in quanto frutto di una situazione vera:
“Mi avete preso per un coglione”
“No, sei un eroe”.
Invece nella foga della scena gli era stato stato involontariamente schiacciato l’attributo.