Michela Andreozzi intervistata tra le pagine de Il Messaggero, racconta la sua vita felice senza figli. Rompendo le tradizionali ideologie donna-madre, la 49enne dopo il successo cinematografico di “Nove Lune e mezzo”, rompe letteralmente i più comuni tabù e pubblica il suo primo libro dal titolo “Non me lo chiedete più, #childfree. La libertà di non avere figli e non sentirsi in colpa”. Il libro è indirizzato a tutte le donne che non hanno avuto il coraggio di dirsi che i figli non li desiderano e che si sentono giudicate per questo motivo. La regista ha compreso pienamente che i suoi pensieri si sarebbero trasformati in un libro quando la cartella con l’hashtag sul suo PC stava diventando sempre più grande, tra sue personali riflessioni, frasi di blogger e lettere che le hanno scritto delle donne da ogni parte d’Italia. “Ho scelto la cifra umoristica che è quella a me più naturale”, confida. Durante il primo matrimonio le idee “confuse”. Pesava di avere tutto, dal marito, all’abbonamento in palestra (mai usato): “Mancava solo un figlio”… e poi?
Michela Andreozzi, come vivere felici anche senza figli
Michela Andreozzi ha deciso di non farlo quel figlio che tutti si aspettavano facesse.”Il figlio non si è palesato, il mio matrimonio è allegramente naufragato e io ho iniziato la mia nuova vita”. Per dire no ad un figlio, ha lottato anche contro i tassisti romani: “Ne ho incontrato uno che non faceva altro che ripetermi: non sa cosa si perde a non fare figli”. Per l’attrice non tutto avviene per scelta, a volte le cose capitano e basta. Il senso di colpa riesce a governarlo, perché non si pone come donna ma come persona. Nessun ripensamento quindi? “Quando ho incontrato Max Vado, il mio secondo marito, avevo già 45 anni. Forse se avessimo avuto 20 anni… con lui avrei potuto fare ragionamenti diversi”. Poi nel libro, anche una parte dedicata alle veline, che potrebbe sembrare quasi una “presa di posizione contro”. “Alcune delle mie più care amiche sono ex veline. Quello era un gioco […] anche la velina alla fine vorrebbe una vita normale, siamo tutte vittime di un ruolo”.