Dialogo avvenuto al tavolino di una qualsiasi gelateria, mentre il piacevolissimo gusto di una coppa o di un cono sottintende una riflessione tanto oziosa quanto intellettualmente futile. Perciò estivamente imprescindibile…

L’Uno (dei ComicAstri): Agli occhi del mondo la scena si ripete con cadenze da moto rettilineo uniforme. Cambiano solamente i luoghi, le situazioni, mentre i modi restano cortesi e affettati. Sovente cambia l’arredamento: livido, multicolore; oppure asettico, stile sala operatoria (specchi e luci azzurrate); oppure ancora… “nature”, all’aria aperta. 



L’altro: Tutti lo abbiamo provato, e continuiamo a farlo (in fondo è così naturale), ciascuno secondo le proprie possibilità, ognuno secondo i propri variegati gusti. E di variegato vogliamo parlare, giacché l’oggetto delle nostre riflessioni di oggi, il nostro lupus in fabula è (puntini puntini…) il gelato!



L’Uno: Ora, pur ammettendo che tutti i gusti sono gusti, ma che il gelato all’ammoniaca non l’hanno ancora inventato (eppure state tranquilli che ci arriveremo, siamo nell’epoca dell’orrido), vorrei soffermarmi su una considerazione quantomeno interlocutoria. Perchemmai all’atto dell’acquisto, poniamo, di una vaschetta di gelato da un chilo, avendo dato ampia facoltà di scelta dei gusti all’amico gelataio (che tale non si rivelerà, ahinoi…), perchemmai, si diceva, il suddetto tende a rifilare allo sprovveduto avventore non meno di sette/decimi di pistacchio, gusto dal colore improbabile e dal sapore tanto evanescente quanto vagamente ripugnante? E ancora: come giustificare la copiosa produzione su scala nazionale di gelato al pistacchio se si possono contare sulle dita di una mano le persone che ne apprezzano il sapore? E, last but not least: che cos’è il pistacchio?



L’altro: Vuoi che procediamo in ordine sparso? O vuoi che interroghiamo il nostro amico Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché ne ha per tutti i gusti, rubacchiati qua e là in giro per il mondo?

L’Uno: No, vorrei raccontarti il mio primo approccio con il gelato al pistacchio. Sì, insomma, la mia prima volta. Avvenne una cinquantina d’anni fa, nei modi e nei tempi che il destino si divertì ad assegnarmi.

L’altro: Il destino? … il Fato? … il caso? …

L’Uno: A quei tempi il nonno soleva (verbo molto in voga a quei tempi) portarmi a passeggio per le strade del paese.

– Nonno… mi compri il gelato? (notate bene il discorso diretto)

 Un bel cono da 30, da leccare, grazie!

Bene, è difficile a 5 anni essere già innamorati di un gusto, così come di una donna…

L’altro: Lo è anche a 30, ma questa è un’altra storia…

L’Uno: Si auspicherebbe, dicevamo, conoscere il mondo, fare nuove esperienze… insomma… si vorrebbe il nostro cono a tutti i gusti.

L’altro: Ma… perché in ogni storia che si rispetti c’è sempre un ma…

L’Uno: … ma un cono da 30 (lire, è bene rimembrarlo) si presta al massimo a due gusti; e quello da 50 (esagerato, con i suoi 3 gusti abbondanti) ci avrebbe procurato il mal di pancia, a detta del nonno. Quindi due soltanto. Eppure, quel giorno, davanti a quella fredda vasca molliccia dietro il vetro del banco, quasi tutta verde… pistacchio… capii.

L’altro: Che cosa?

L’Uno: Capii la mia propensione per l’uninominale secco, come si direbbe oggi, magari col doppio turno (di gelato). Ed esclamai all’indomito di bianco vestito che stava dall’altra parte:

– Voglio un cono da 30 di quel gelato lì, verde

– È pistacchio, simpatico bambino (tutti i bambini non esattamente avvenenti sono simpatici, chissà perché…), vedrai ti piacerà! 

L’altro: Immagino che un ghigno che solo dopo ti apparve come satanico si sia stampato sul volto dell’uomo del cono.

L’Uno: Già… Solo il nonno avrebbe potuto essermi d’aiuto, valutare la mia scelta, correggermi, o almeno mettermi in guardia; ma l’amato anziano in quel momento sembrava interessato soprattutto alla sua coppetta alla crema.

L’altro: E dunque?

L’Uno: Dunque non disse nulla. Emozionato, portai il cono alla bocca, estrassi la lingua turgida e con abile rotazione del polso feci fare al cono un mezzo giro su se stesso…

L’altro: La prima sensazione?

L’Uno: Fu di freddo.

L’altro: Che fantasia, era pur sempre gelato!

L’Uno: Attimi che sembrano ore, secondi che sembrano terzi… E proprio mentre il freddo cominciava a lasciare il posto a una rassicurante sensazione di piacere, mentre la papilla preposta a tal compito faceva presagire al mio cervello tutta l’emozione e tutto il godimento che l’avida leccata avrebbe potuto regalarmi, improvvisamente avvertii un senso di buio in bocca, come una stecca di Fedez, come uno stop a seguire di Andrè Silva.

L’altro: Addirittura!

L’Uno: Un sapore disgustoso, mai provato sino ad allora, penetrò giù-giù nelle mucose gastriche e poi su-su fino al talamo.

L’altro: Come il mascarpone…

L’Uno: Neppure il mascarpone, che odio cordialmente, aveva avuto tali effetti, a suo tempo. Ripresomi dallo shock, decisi di tenermi tutto dentro, compresa la voglia di disfarmi del cono grazie ad un cestino della spazzatura amico.

L’altro: E poi?

L’Uno: Nei giorni a seguire, mi ritrovai più volte a ripensare all’incredibile disavventura capitatami; tuttavia la convinzione che io e il pistacchio avremmo seguito per il resto dei (miei) giorni strade diverse col tempo si affievolì e maturò invece l’idea di essermi sbagliato.

L’altro: Non dirmi che c’hai riprovato…

L’Uno: Ebbene si! Tuttavia ritenni doveroso cambiare gelateria. Con una scusa, non ricordo più quale, convinsi mio nonno a offrirmi un cono da 50: avrei avuto così altri due gusti in cui annegare la mia delusione nel caso di una recidiva. La scelta cadde su fragola e limone.

L’altro: Un classico.

L’Uno: Sulle prime cercai di evitarlo. La mia abilità nel far roteare il polso mi faceva appoggiare la lingua sui soli gusti alla frutta. Poi capii che dovevo farlo. Impugnai ancora più saldamente il cono, come fosse il calcio di una pistola. Il pistacchio pareva fissarmi con indifferenza. “Stavolta andrà tutto bene”, pensai, affondando sicuro la lingua.

Fu l’ultima volta che lo feci.

L’altro: Perché, che cosa successe?

L’Uno: Faticai a finire quel cono, perfino fragola e limone avevano un retrogusto di pistacchio, Finsi di inciampare e regalai il gelato alle formiche (che nel loro piccolo non s’incazzarono, anzi, parvero gradire), con non poche imprecazioni del nonno.

L’altro: Ci credo, era un cono da 50…

L’Uno: Da allora, convivo con questa angoscia. Ancora oggi, quelle volte, sempre più rare, che mi capita di entrare in una gelateria, mi scopro come a cercare furtivamente la sua presenza. E lui è sempre là, con il suo colorino tentatore, a far del male alla gente. Maledetto!

L’altro: Esagerato!

L’Uno: Ho compiuto delle ricerche e ho scoperto che il seme di pistacchio, imparentato per via di una prozia con la più nobile arachide – che infatti ben si guarda dal proporsi nelle gelaterie come gusto, al massimo dà una mano al cioccolato – sta al suo omonimo gusto di gelato come Indiana Jones sta a Marzullo, come Travaglio a un giornalista non di parte, come Mandello al Lario.

L’altro: E se ti capitasse di incontrare un bambino al quale venisse in mente di farsi un gelato al pistacchio?

L’Uno: Dio non voglia! Lo giuro: lo metterei in guardia, lo disilluderei, tenterei comunque, nel rispetto della sua libertà, di dissuaderlo. Anche se so che i bambini di oggi corrono pericoli ben più seri e sono minacciati da una ancor più diabolica iattura.

L’altro: Quale?

L’Uno: L’ambiguo e infido gelato al Puffo! Che qualcuno li aiuti…