La notizia della morte di Carlo Vanzina, comunicata nella mattinata di ieri, è stata subito rilanciata da siti internet e tv. Un importante telegiornale (il primo o il secondo nazionale, dipende sempre da come si leggono i dati auditel) ha titolato “Addio a Carlo Vanzina, re dei cinepanettoni”. In realtà il regista romano era più di questo. Certo l’Ischia Global Film & Music Festival non è l’Academy, ma nello scegliere di assegnare il Legend Award – un premio che purtroppo non ha fatto in tempo a ritirare – proprio pochi giorni fa aveva fornito un profilo migliore e più corrispondente di un uomo entrato di diritto nella storia del cinema italiano: “Il nome di Carlo Vanzina, un maestro della commedia che in oltre 40 anni, con più di settanta tra film e serie, ha raccontato i cambiamenti della nostra società, entra nella ‘Hall of Fame’ del festival, accanto a quello di registi internazionali e premi Oscar tra i quali Alan Parker, John Landis, Terry Gilliam, Nancy Meyers, Stephen Frears, Michael Radford e italiani come Ettore Scola, i fratelli Taviani e Lina Wertmuller”.
In quello che può apparire come un generoso elogio e tributo sta però una grande verità. Carlo Vanzina ha in effetti raccontato l’Italia e gli italiani negli anni ‘80 e ‘90 attraverso commedie divertenti e poche volte cadute nella volgarità. Figlio del grande Steno, ha proseguito di fatto un lavoro iniziato dal padre, grazie anche al fratello sceneggiatore Enrico: la Capannina di Forte dei Marmi, le settimane bianche a Cortina d’Ampezzo, la Milano da bere degli yuppie, il grande sogno dell’America sono solo alcuni degli “affreschi” della società italiana raccontati nei suoi film (dove quasi sempre a uscirne bene non erano i ricchi e i “primi della classe”).
Grazie anche agli attori che ha avuto alle sue dipendenze, e in che in taluni casi ha contribuito a lanciare nel mondo del cinema, ha portato sul grande schermo personaggi che facilmente gli spettatori hanno ritrovato in un amico, in un collega di lavoro o in un parente. Certo, Vacanze di Natale fu il capostipite dei cinepanettoni. Certo, fu lui a far nascere il sodalizio Boldi-De Sica. Tuttavia è riduttivo etichettare Vanzina come il “re dei cinepanettoni”. Vero è che dai primi anni Duemila i suoi film, con cadenza di uscita praticamente annuale, sembravano aver perso lo smalto iniziale, forse anche per i tentativi mal riusciti di dar vita a dei sequel di suoi successi (Eccezzziunale veramente – Capitolo secondo… me) oppure di suo padre (Febbre da cavallo – La mandrakata) o persino di altri (Il ritorno del Monnezza). Tanto che ormai si cominciava a dire che una “vanzinata” all’anno agli italiani non poteva toglierla nessuno.
In ogni caso ha cercato di rimanere se stesso senza fossilizzarsi, provando anche (senza troppo successo) a uscire dai toni della commedia o lavorando per prodotti televisivi e non solo cinematografici. Un uomo insomma che amava il suo mestiere, che, a quanto ha riferito l’amico De Sica, amava anche sorridere e che ha lottato fino all’ultimo contro la malattia. La commedia italiana negli ultimi anni, salvo alcune rare eccezioni, non sta attraversando un buon momento. Senza Carlo Vanzina sarà ancora più difficile la sua rinascita. Possa il suo esempio ispirare le nuove leve del cinema italiano. A tutti noi italiani restano i suoi film: ci parleranno anche di lui, oltre che di noi stessi.