Nel Beautiful ’68, nonostante le vittorie dell’Italia agli Europei e del Milan nella Coppa delle Coppe, lo sport delle masse non fu il calcio, ma il lancio. Del peso? Nooo… del porfido, dei sassi, dei tubi, delle biglie, delle molotov. Il sollevamento pesi seguiva a ruota i lanci, viste le auto e i tram spostati e utilizzate come barricate. Diciamo perciò che nel ’68 tra lanci, sollevamenti pesi e corsa (per scappare), i contestatori nostrani erano allenati, forse pronti per partecipare alle Olimpiadi del Messico.
Ma in due specialità atletiche i nostri rivoluzionari erano impreparati: salto in alto e in lungo. Se la loro rivoluzione fu utopica, a Città del Messico arrivarono veramente i marziani, due atleti americani, Dick Fosbury nell’alto e Bob Beamon nel lungo. Beamon era al primo salto e all’inizio non si rese conto di aver migliorato di 55 cm il record del mondo. Era arrivato a 8,90 mt. Il misuratore ottico era tarato come fine misurazione su una lunghezza minore e fu utilizzato il decametro. E lo stadio esplose. E pensare che l’atleta, sconfortato per il divorzio con la moglie e i debiti, la sera precedente aveva alzato il gomito.
Il record rimase imbattuto per 23 anni, finché a Tokyo nel 1991 ci pensarono due atleti neri Usa, Carl Lewis e Mike Powell. Il Figlio del Vento, come Jessie Owens, stravinceva nei 100, 200 mt, nel lungo e qui arrivò a 8,91, anche se suo “padre” gli diede un buon aiutino (vento a 2,9 metri al secondo). Arrivò poco dopo Mike Powell con 8,95. Bene, da allora il record è ancora imbattuto.
Dalle Olimpiadi del Messico in poi, ci fu la svolta epocale nel salto in alto, si passò dalla tecnica ventrale allo stile Fosbury. Questo atleta americano si era presentato in pedana saltando all’indietro. Lo stadio e gli altri atleti erano rimasti allibiti. Con scioltezza e naturalezza superava l’asticella e vinse con 2.24 mt la Medaglia olimpica. Dick Fosbury si era inventato questa tecnica utilizzandola ai Trials Usa per qualificarsi alle Olimpiadi. I mezzi di comunicazione non erano quelli odierni, perciò la sua tecnica non era ancora stata vista dal mondo. Da lì in poi solo tecnica Fosbury.
I due atleti furono veramente due marziani, furono avvistati in Messico, lasciarono una loro impronta e poi sparirono, entrambi non si qualificarono per le Olimpiadi di Monaco ’72. Ho vissuto questi eventi da ragazzino e ho provato a emulare questi due campioni, peccato che per il salto in alto non vi era un materasso, ma un cumulo di sabbia, perciò saltai alla ventrale o in sforbiciata.
Ai vostri ragazzi fate vedere Un salto verso la libertà, un film con poche pretese da capolavoro cinematografico, molto semplice, girato con pochi mezzi e con attori non professionisti. Il tema è la libertà e di fatto è una favola che finisce bene.
Kurdistan. Due fratelli, Azad (12 anni) e Tigris il maggiore, si allenano, con un materasso e coperte, al salto in alto. Un raid aereo li spaventa e si riparano in un cestone. I genitori accorrono, trovano i due fratelli incolumi, ma Tigris dallo shock diventa muto. Il padre è uno scrittore inviso al regime e decide di mandare i figli dai parenti a Francoforte. Per una serie di con-cause i ragazzi finiscono in Svezia con un’altra famiglia e qui patiscono pene finché non scoppiano. Nel frattempo Azad sorprende i compagni di scuola nel salto in alto e viene convocato per una gara a… Francoforte. Non ha il passaporto, si camuffa come uno svedese amico e arriva a destinazione. Vince la gara, ritrova i genitori scappati dal Kurdistan e il fratello Tigris ritrova la parola.
Una favoletta che finisce bene, non certo però buonista, visto i fatti che accadono. Da vedere.