L’estate per molti significa l’opposto del cinema, ma non necessariamente di un film. E allora dedichiamo un po’ di spazio ad alcuni titoli inediti o poco visti che si possono tranquillamente vedere sulle piattaforme on line. 

Forse sarà un caso, o forse no, ma è curioso che nella scorsa stagione cinematografica italiana due film abbiano adottato lo meccanismo narrativo – utilizzare la tv per ottenere successo, fama e visite turistiche per il proprio paesello – sfruttando lo stesso programma televisivo di riferimento. Uno di questi film è Omicidio all’italiana di Maccio Capatonda, il secondo è Chi m’ha visto di Alessandro Pondi che dopo un non troppo esaltante passaggio in sala è approdato su Prime Video, la piattaforma Amazon. 



Il protagonista è un chitarrista (Giuseppe Fiorello) che stufo di essere un turnista di talento ma senza successo personale escogita assieme all’amico di sempre (Pierfrancesco Favino) una sparizione: l’interesse del programma tv “Scomparsi” lo porterà all’attenzione di tutti. Ma a quale prezzo dal punto di vista umano?



Se il film di Capatonda parodizzava e metteva alla berlina la struttura sociale che regola il rapporto tra televisione e spettatori e che porta alla creazione di programmi come “Chi l’ha visto'” o “Quarto grado”, Chi m’ha visto invece si limita a lasciare in superficie la satira e la riflessione e punta a una commedia vagamente malinconica ma soprattutto passatempo, di quelle in cui l’unico concetto – a parte quello di farsi due sorrisi – sta nelle pieghe delle finte utopie di mezz’età, dei paeselli e dell’evasione dalla realtà e dal mondo come unico orizzonte culturale e politico (l’ultima inquadratura è profondamente emblematica). 



Pondi, assieme a Fiorello, Paolo Logli e Martino De Cesare in sceneggiatura, mettono in piedi una commedia piuttosto emblematica dello stato in cui versa la commedia nostrana che potremmo definire mainstream, o brillante: innanzitutto il dialetto e l’ambientazione strapaesana, con l’iper-regionalismo a fare da reale vettore produttivo; poi costruire situazioni e caratteri sulla base di dualismi spiccioli come fama e anonimato, città e campagna, amico donnaiolo e amico che vuole l’amore, così le gag vengono meglio e non si devono costruire troppo i personaggi; e poi lasciare campo libero a due protagonisti divi che piegano ogni scena al loro repertorio per evitare che si noti la mancanza di polso della regia, di ritmo nella gestione dell’umorismo.

L’unica nota un po’ interessante di Chi m’ha visto allora è proprio il rapporto con i mass media dal punto di vista filmico, come Pondi mette in scena la realtà multimediale, come i differenti formati di ripresa diano differenti sensi alla realtà (le riprese di un concerto di Jovanotti, i video-appelli di veri cantanti, la differenza tra la finta trasmissione tv e le vere riprese di “Uomini e donne” sui titoli di coda): come se la descrizione di un mondo in cui l’unico filtro reale è quello di una telecamera fosse più interessante della sua blandissima presa in giro tramite un medium più istituzionale come il cinema. Anche se poi un chioschetto in Grecia con tanto di prostituta redenta rimette tutto nella zona morale perfetta per la proiezione in prima serata.