Spesso i film tratti da un libro finiscono per risultare molto diversi dalle opere cui sono ispirati. Se però a curare il soggetto è lo stesso scrittore e a dirigere la pellicola suo fratello, tutto ciò non dovrebbe succedere. Confesso di non aver letto “Le finte bionde” di Enrico Vanzina, ma l’omonimo film diretto da suo fratello Carlo non credo possa trasmettere un messaggio molto diverso.
“Le nostre città sono ormai popolate da questi nuovi esemplari di borghesucce rampanti: le finte bionde”, sono alcune delle prime parole pronunciate, verso l’inizio della pellicola, dalla voce fuori campo di Oreste Lionello (scelta probabilmente non casuale visto che si trattava del doppiatore di Woody Allen). Una voce che accompagna lo spettatore per tutta la durata del film, quasi che si stia guardando una sorta di “documentario sociale”. In effetti, alla fine Le finte bionde risulta essere un graffiante satirico ritratto di una certa classe media (non tanto del genere femminile) che negli anni Ottanta si è diffusa in tutta Italia, non solo nella Roma che fa da sfondo al film. Certo, probabilmente con la comicità di certi attori romani (come Antonello Fassari, Cinzia Leone, Maurizio Mattioli e Francesca Reggiani) è più facile far emergere i tratti più esilaranti e assurdi di quei tanti commercianti, bottegai, professionisti che in quel periodo, arricchendosi, hanno cercato anche il “salto in alto” verso una classe più agiata. Ma solo di facciata. Una ricchezza esteriore da ostentare, cui non corrisponde una ricchezza interiore. Non è forse un caso che alla fine del film i protagonisti vengano scambiati per “profughi” da dei campagnoli del Centro Italia.
I “bottegai nuovi ricchi”, come ancora vengono definiti dalla voce fuori campo, hanno bisogno di apparire acculturati (anche se pensano che Neruda abbia vinto l’Oscar), di aver l’ultimo ritrovato tecnologico, di abitare nel quartiere più esclusivo, di passare ogni festività, vacanza o semplice fine settimana nelle località più ricercate, di avere anche fino a più di dieci televisioni in casa, di poter ostentare qualcosa ai propri “finti amici”.
Davvero un graffiante sociale satirico di un’epoca passata, ma che fa riflettere anche sul presente. Non solo perché di questi “bottegai”, complici anche gli effetti della gig economy, non se ne vedono così tanti in grado di arricchirsi, ma anche perché la società dell’apparire oggi sembra non aver nemmeno più la brama di elevarsi. Si vuol apparire, anche se non più ricchi e più intelligenti degli altri: basta apparire. E allora non basta nemmeno diventare finte bionde, bisogna osare di più.
P.S.: Anche stavolta nel film di Vanzina viene citato Gianni Agnelli. E come si evince dal titolo le vicende ruotano intorno al mondo femminile. Infine, i protagonisti vanno anche nella Cortina d’Ampezzo di Vacanze di Natale.