È uno dei film che più hanno fatto discutere nelle ultime settimane, accolto con una standing ovation al Festival di Venezia 2018 e che ha segnato un solco su una vicenda che resterà nella storia del nostro Paese: parliamo di Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, che racconta gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi e della settimana che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia. Una storia di cronaca nera, iniziata il 22 ottobre del 2009, che ha avuto grande esposizione mediatica e che tutti conosciamo: Stefano, giovane di trent’anni, muore all’ospedale Sandro Pertini in seguito alle percosse ricevute nel carcere di Regina Coeli. Al momento del decesso pesa appena 27 chili ed è stata necessaria una lunga indagine per individuare i colpevoli, con coinvolti alcuni agenti di polizia penitenziaria, alcuni medici del carcere di Regina Coeli e alcuni carabinieri. Vincitore a Venezia 75 del Premio Pasinetti speciale al film e ai migliori attori e del Premio Brian UAAR, Sulla mia pelle è distribuito contemporaneamente nelle sale cinematografiche italiane da Lucky Red e attraverso il servizio di streaming Netflix.



Un film bellissimo su una storia bruttissima: Alessio Cremonini racconta l’Odissea drammatica di Stefano Cucchi da una prospettiva vincente, costruendo un lungometraggio in cui la vittima non è un martire, quanto piuttosto un ragazzo pieno di contraddizioni. Ragazzo di borgata e tossicodipendente, Stefano viene fermato una sera dai Carabinieri per possesso di stupefacenti: nelle ore successive viene picchiato e non gli viene concessa la possibilità di contattare il proprio avvocato. I segni del brutale pestaggio sono evidenti a occhio nudo, non per i medici che lo visitano e per il pubblico ministero. Tutti sanno, ma nessuno si assume la sua responsabilità, e le condizioni di Stefano peggiorano di ora in ora. Fino al tragico epilogo. Un cammino amaro tra una stazione di polizia a un ospedale, con lo spettatore che non assiste sul grande schermo al violento attacco fisico: tutti sanno cos’è successo, sotto la lente di ingrandimento non finisce la brutalità degli aggressori, quanto piuttosto il processo che ha portato alla morte del Cucchi e che ha stravolto la sua famiglia.



Un film difficilissimo da realizzare, con il grosso rischio di scivolare nella retorica più assoluta, con Alessio Cremonini che per restituire allo spettatore una ricostruzione all’altezza ha navigato tra diecimila pagine di verbali, il libro di Carlo Bonini e il libro scritto dalla sorella Ilaria Cucchi, senza dimenticare il documentario di Enrico Mentana e decine di altre fonti. E, come dicevamo, fa centro: merito anche dello straordinario quanto non riconoscibile Alessandro Borghi – sia fisicamente che vocalmente (attenzione ai titoli di coda del film) – e dei personaggi secondari. Jasmine Trinca – alla sua miglior interpretazione di sempre – e Max Tortora – sorprendente anche lontano da ruoli comici – vestono i panni della sorella e del padre di Stefano e le loro interpretazioni sono all’altezza del protagonista. E il team che affianca Cremonini, anche sceneggiatore insieme alla bravissima Lisa Nur Sultan, è all’altezza del compito: la fotografia cupa e claustrofobica di Matteo Cocco fa vivere alla spettatore le sensazioni di Stefano in quei giorni, così come la il commento sonoro firmato Mokadelic. Un lavoro di grande qualità e straziante, che permette allo spettatore di farsi un’idea sul terribile caso senza prendere una posizione ben precisa.