Un film che fa sorridere (neanche troppo) e che fa riflettere, ma che non riesce a convincere a pieno sia da un punto di vista narrativo che stilistico: La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi non rispetta le grandi aspettative che lo hanno accompagnato negli ultimi mesi. Presentato al Festival di Venezia 2018 nella sezione Orizzonti, il lungometraggio racconta la storia di Zero (Simone Liberati), un disegnatore che viene nel quartiere di Rebibbia e che si destreggia tra diversi lavoretti in mancanza del “posto fisso”. Le sue giornate trascorrono senza grandi colpi di scena ma, una volta rientrato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica a dir poco particolare: parliamo di un armadillo che, nel corso di conversazioni surreali, lo aggiorna su ciò che accade nel mondo. Zero trascorre le sue giornate in compagnia dell’amico Secco (Pietro Castellitto, figlio di Sergio) e la svolta arriverà quando verrà a conoscenza della morte di Camille, sua ex compagna di scuola e amore adolescenziale: il protagonista si ritroverà a fare i conti con la vita e con una generazione, la sua, di “tagliati fuori”…



Tratto dal fumetto intimo e decisamente ricercato di Zerocalcare, il film cerca di offrire uno sguardo sulla generazione dei trentenni, che oggi vivono una situazione particolare: a differenza del passato, si trovano in un limbo, non hanno un posto preciso nel mondo e sono costretti a lottare tutti i giorni per trovare una via di uscita. La categoria forse più colpita dalla crisi degli ultimi anni, con il posto fisso che è sempre più un miraggio e la possibilità di poter costruire qualcosa di importante sembra solo un sogno ormai sfumato. Il rischio più grosso era quello di cadere nella retorica, un ostacolo assolutamente non superato da Scaringi, basti pensare al finale del film. La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Michele Rech (Zerocalcare), Oscar Glioti, Valerio Mastandrea e Johnny Palomba, ha delle gravi carenze e si discosta eccessivamente dall’opera del noto fumettista. Un errore, visti i risultati, imperdonabile.



La regia di Emanuele Scaringi non ha grossi guizzi e scade nalla ripetitività. Nessuna scelta stilistica degna di nota, un film piatto da ogni punto di vista. Si salvano, invece, alcuni sketch che strappano qualche risata: ci riferiamo in particolare alle sequenze con l’armadillo, doppiato da Valerio Aprea, all’ormai famoso cameo del celebre tennista italiano Adriano Panatta. Per il resto, un film decisamente dimenticabile, che non rende giustizia a uno dei fumetti più interessanti del panorama italiano…

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