Berlino, 1977. Susie Bannion, giovane ballerina americana, si presenta per un’audizione presso la Compagnia di Danza Helena Markos, dove insegna l’apprezzata e misteriosa Madame Blanc, celebre coreografa della scuola. L’incredibile talento espressivo e tecnico di Susie le permette di essere immediatamente notata e introdotta nella scuola dove, in breve tempo, viene chiamata a sostituire Olga, prima ballerina fino a quel tempo.



Offesa e sconcertata per la decisione, Olga esprime con violenza e aggressività il suo dissenso, accusando le direttrici della compagnia di essere delle streghe. Ma la decisione è ormai presa. Susie inizia un percorso di apprendimento che metterà in evidenza capacità straordinarie ben oltre la sua semplice espressione fisica. Un’energia misteriosa che incanterà Madame Blanc rivelando oscure presenze e verità.



Il nome di Guadagnino, improvvisamente balzato agli onori della cronaca cinematografica per la straordinaria prova di Chiamami col tuo nome, sommato alla notorietà di uno dei classici horror firmati Dario Argento, rendevano l’appuntamento del nuovo Suspiria al cinema qualcosa di particolarmente atteso. Cosa avrebbe potuto portare in più il talento (semi sconosciuto, fino a poco tempo fa) del regista palermitano a uno dei film di culto della storia dell’horror italiano?

Chiamami col tuo nome brillava per sensibilità, empatia e coraggio. Non altrettanto si può dire di Suspiria, che raccoglie l’eredità sanguinolenta di Argento, dando forza ulteriore agli aspetti oscuri e misteriosi della trama. Ne viene fuori un film infinito, lungo più di due ore, che rimanda finché può lo “svelamento” che, quando arriva, si tinge di oscuri rimandi a entità demoniache, tra scene disturbanti, plastiche contorsioni e banchetti di streghe. Emerge molto rumore di fondo, scarsamente credibile e modestamente emozionante.



Dietro al film horror c’è l’impronta autoriale di Guadagnino che rifiuta il semplice remake per realizzare una storia nuova e ambiziosa. Libero dal modello di riferimento, Guadagnino incrocia, in sei atti e un lungo epilogo, suggestioni oniriche agli eventi storici tedeschi del 1977, streghe, ballerine e psicoterapeuti. Un intreccio di realtà e oltremondo che sconvolge la maggiore razionalità della cultura europea, ma che richiama, forse inconsapevolmente, i profondi legami tra danza e magia nera presenti in molte culture esotiche. 

Con Suspiria Guadagnino dimostra in ogni caso l’apprezzabile coraggio di misurarsi con una sfida difficile, confermando una grande attenzione alle scene, alla fotografia, alle atmosfere. E rivela ancora una volta un’apprezzabile capacità di muovere e di ispirare i suoi attori, tra cui la conturbante e ieratica Tilda Swinton.

Nel complesso però l’opera risulta eccessiva, ridondante e complicata. Meglio probabilmente lasciare spazio, nella memoria, all’originale, ben più riuscito e personale di questa deludente nuova reinterpretazione che non accontenta né gli appassionati del genere, né i parrucconi della critica.