Ex direttrice di una clinica abortista della catena americana Planned Parenthood, Abby Johnson ha abbandonato il suo incarico dopo aver assistito a un aborto di un bimbo di 13 settimane. Da allora è diventata dirigente dell’associazione pro life “And then there were none”, lasciando anche la sua fede episcopale per convertirsi al cattolicesimo perché, spiega, la sua voglia di difendere la vita era meglio rappresentata in quell’ambiente. Adesso sta per uscire il film intitolato “Unplanned” ispirato alla sua vita. Vi si racconta il suo ingresso nella clinica abortista come volontaria fino a diventarne dirigente così come i suoi due aborti. Il sito gesuita americano American Magazine l’ha intervistata, chiedendole che possibilità realistiche ci siano che la legge sull’aborto possa essere modificata. “E’ una possibilità abbastanza realistica” ha detto. “Sarebbe necessario avere un caso sufficientemente significativo per sfidare la costituzionalità dell’aborto”. Al momento, dice, sarebbe comunque necessario che chiunque si identifichi come pro life e chiunque si dica cristiano, si coinvolgesse in modo operativo nel movimento pro-life: “Proporsi come volontari nei centri di accoglienza per donne in stato di gravidanza, coinvolgersi con una delle tante organizzazioni nazionali. Il nostro scopo non dovrebbe essere quello di rendere l’aborto illegale, ma del tutto inconcepibile”.



LA DIFESA DELLA VITA NON E’ SOLO RELIGIOSA

Abby Johnson racconta poi come divenne parte attiva del movimento abortista, ai tempi dell’università. Cresciuta in una famiglia anti abortista, non era al corrente di cosa succedesse e cosa fosse veramente Planned Partenhood, pensava di aiutare le donne in un momento difficile della loro vita. “Né io né la maggior parte delle donne coinvolte volevamo uccidere dei bambini, ma aiutare le donne”. Poi le capitò di assistere all’aborto di una bambino di 13 settimane, vederlo combattere per la vita le fece ripensare alle sue idee: “Dovrei essere qui per aiutare le donne ma lo sto facendo a spesa della vita di un altro essere umano”. Quindi l’incontro con la comunità cattolica della sua città, dove lei e il marito si sentirono accolti come a casa loro, imparando che la pienezza del cristianesimo si trova soltanto nella Chiesa cattolica, spiega. Lei stessa ha praticato due aborti e oggi dice che la difesa della vita non è solo una cosa per i cristiani, ma che la sofferenza che vive chi abortisce è sufficiente per far cambiare idea. Essere pro-life, aggiunge, ha anche a vedere con la scienza ed è importante parlarne non solo dal punto di vista religioso, l’aborto non è solo una argomento di fede.

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