Autore di oltre novecento dipinti e più di mille disegni, Vincent Willem van Gogh è uno degli artisti più importanti della storia e la sua figura è stata spesso tratteggiata anche al cinema. Dal film di Maurice Pialat del 1991 al documentario di Bruce Alfred del 2003, fino all’animation movie Loving Vincent di Dorota Kobiela e Hugh Welchman del 2017: omaggi a un simbolo del XX secolo, un genio incompreso che ha vissuto un’esistenza sofferta e che ha trovato la gloria solo post-mortem. E per cogliere l’uomo dietro l’artista era necessario il punto di vista di un altro pittore, uno dei punti di riferimenti dell’arte contemporanea di New York: parliamo di Julian Schnabel, che è tornato a vestire i panni di regista e ha girato Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità. Presentato al Festival di Venezia 2018, il lungometraggio ha ricevuto apprezzamenti sia dalla critica che dal pubblico: il motivo? Possiamo definirlo un’opera d’arte per descrivere un’opera d’arte…
Non si tratta di un racconto biografico, bensì di un insieme di scene ispirate ai dipinti di Van Gogh e che ripercorrono gli ultimi e tormentati anni di vita del pittore olandese: dall’amicizia con il collega Paul Gauguin alla tragica morte, un colpo di pistola che lo uccise a soli 37 anni. Tra fatti realmente accaduti, dicerie e scene completamente inventate, Schnabel vuole portare sul grande schermo l’amore del pittore per l’arte: «Io sono i miei dipinti» afferma Vincent van Gogh, che con i suoi lavori vuole trasmettere al resto del mondo la bellezza della natura e le emozioni che questa riesce a trasmettere. La sua vita è caratterizzata dalla magica comunicazione con la meraviglia dell’essere, che hanno sempre avuto la meglio sulle sofferenze e sulle tragedie vissute, basti pensare ai frequenti disturbi mentali di cui ha sofferto e che Schnabel ha affrontato anche nel suo racconto cinematografico (la mutilazione dell’orecchio su tutti).
La bellezza della natura, ma non solo: Van Gogh nel creato cerca Dio, quella luce divina necessaria per indirizzarlo nell’atto della pittura. L’artista e l’uomo formano un tutt’uno, con il regista di Basquiat che concentra la sua attenzione sulla visione del mondo e della realtà del genio incompreso, interpretato da un magistrale Willem Dafoe (coppa Volpi a Venezia 75 per la migliore interpretazione maschile). Il successo passa in secondo piano, «volevo tanto condividere quello che vedo, ora penso solo al mio rapporto con l’eternità!», tutto è puntato sull’essenza profonda di Van Gogh.
Oltre al già citato Dafoe, il cast comprende attori di altissimo livello: da Rupert Friend a Oscar Isaac, fino a Mathieu Amalric. Particolarmente interessante il cameo di Mads Mikkelsen, che interpreta un prete: il vis-a-vis con van Gogh offre un interessante dibattito sull’arte e su Dio. La fotografia di Benoît Delhomme ricalca lo spirito artistico della pellicola, con la luce gialla che predomina: quel giallo che ritroviamo nei dipinti del genio di Zundert e, oggi, in quelli di Schnabel.