Ricordate quel cameriere che corre dalla cima della montagnetta di San Siro dove c’è un malconcio baratto per portare un bicchiere d’acqua che nel lungo tragitto dal bar fino ci cade dentro di tutto? Era l’esordio di Maurizio Nichetti, il geniale regista che con Ratataplan nel 1979 coglieva il successo nazionale. Nicheli, proveniente dalle compagnie teatrali delle strade di Milano, ritraeva la Milano di allora in modo cinico e ironico. Oggi, dice in una intervista a Repubblica, il cinema non lo fa più, al suo posto lo fa il web. Il cinema, dice, non racconta la contemporaneità come faceva nel Novecento: “Stalin e Mussolini dittatori che capivano come il racconto della realtà secondo il loro punto di vista gli tornasse utile. E negli anni 40, 50 e 60 il neorealismo raccontò la guerra, l’uscita dalla guerra e la ricostruzione”. Adesso invece, dice, la documentazione del mondo avviene sul web: in futuro chi vorrà capire l’epoca attuale guarderà la collezione dei tweet di Chiara Ferragni o i messaggi sui social.
I MILANESI RIDOTTI A FESSACCHIOTTI
Ma, dice Nichetti, è anche colpa del cinema stesso che ha puntato solo sull’intrattenimento, trascurando l’aspetto del racconto. A proposito della sua Milano, dice che da tempo è raccontata male, usata più che altro come sfondo. Si sfruttano i luoghi comuni, dice: il Duomo, lo skyline dei nuovi grattacieli: “I milanesi invece vengono ritratti come dei fessacchiotti, caricature o affaristi”. Il cinema, aggiunge, ha smesso di raffigurare Milano con il Celentano di Bingo Bongo, film popolari ma non volgari, o Mia moglie è una strega e Il ragazzo di campagna di Pozzetto. In tempi già recenti gli piace ricordare Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo. Il problema conclude che troppo spesso si identifica il cinema milanese con quello indipendente che un mercato di massa non l’ha mai avuto, a raccontare bene Milano sono stati registi non milanesi, ad esempio Miracolo a Milano di Vittorio De Sica.