L’America degli anni Sessanta, il razzismo e una storia di amicizia: Peter Farrelly “abbandona” il fratello Robert e la comicità spicciola (Scemo & più scemo e simili) e racconta la storia vera di Tony Lip, il padre di uno degli sceneggiatori del film. Green Book è sicuramente uno dei film più belli del 2019 ed è destinato a recitare un ruolo da protagonista agli Oscar, dopo essersi assicurato tre riconoscimenti di rilievo ai Golden Globe (Miglior film commedia/musicale, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura): un racconto basato sull’amicizia, più forte di qualsivoglia pregiudizio e barriera.
Siamo nel 1962: Tony Vallelonga (Viggo Mortensen), soprannominato Tony Lip, è alla ricerca di una nuova occupazione dopo la chiusura del club di New York in cui lavorava, e decide di accettare la proposta di Don Shirley, un talentuoso pianista afroamericano che cerca un autista tuttofare per l’imminente tour nel sud degli Stati Uniti d’America. Una mossa azzardata, nonostante le sue straordinarie qualità artistiche: accolto trionfalmente ai concerti, subisce vessazioni e violenze per il suo colore della pelle, tanto da doversi affidare al libretto verde (il Green Book che dà il titolo al film) che indica hotel e ristoranti dove si accettano i neri. Nonostante le diversità e gli iniziali contrasti, Tony e Don Shirley instaureranno un grande legame e affronteranno insieme tutte le problematiche del caso…
Uno è bianco, l’altro è nero; uno è ignorante e parla un americano contaminato dal siciliano, l’altro è colto e parla diverse lingue; uno è rozzo, l’altro è elegante: Tony Lip e Don Shirley sono agli antipodi e questo lo capiamo fin dal primo momento. Ma sono proprio gli ostacoli che incontrano nel viaggio attraverso gli Stati del Sud, dall’Iowa al Mississipi, a permettere la nascita di un’amicizia fraterna, che porta l’autista a riconsiderare la propria valutazione sui neri e il pianista a liberarsi della diffidenza verso i bianchi, accogliendo e accettando i consigli del sagace oratore tuttofare. Magistrale l’interpretazione di Viggo Mortensen e Mahershala Ali: un connubio che funziona su tutta la linea. Esilaranti le sortite in lingua italiana di Viggo Mortensen, destinato a recitare in un film di Paolo Sorrentino o Matteo Garrone, mentre l’interprete di Moonlight si conferma come uno degli attori più interessanti degli ultimi anni, come accertato dal successo di “True Detective”.
Si ride, si piange e ci si arrabbia: Peter Farrelly ricostruisce alla perfezione l’America degli anni Sessanta, dove la discriminazione razziale era la normalità e dove la legge non tutelava le persone di colore. I neri vengono disumanizzati, costretti a mangiare in disparte nei ristoranti o non ammessi in determinati negozi: Green Book è una pellicola molto significativa da questo punto di vista, che ci permette di ricordare le difficoltà affrontate dal popolo afroamericano nell’indifferenza più totale. La sceneggiatura, scritta a sei mani dal regista, da Nick Vallelonga e da Brian Hayes Currie, brilla per originalità e prende le distanze dai classici del genere, ritagliandosi un proprio spazio nella storia cinematografica statunitense.
Le scenografie di Tim Galvin e la colonna sonora di Kris Bowes ammaliano e forniscono il contorno perfetto per il viaggio on the road dei due protagonisti. Un film bello e importante di questi tempi: una storia che ci aiuta a conoscere e a riflettere, del resto sono i piccoli gesti che compiamo ogni giorno a renderci umani…