“Un giorno scriverò nuove canzoni, e tornerò qui… a cantarvi quelle vecchie”. Così il Molleggiato in tono rassicurante: “Lo show è finito, ma non disperate”. C’è Celentano termina proprio intorno alla mezzanotte, in tempo per fargli gli auguri nel giorno del suo compleanno. Viene in mente il verso di una canzone: “Ma non vorrei che tu/a mezzanotte e tre/stai già pensando a un altro uomo…”. Ipotesi remota: Adriano Celentano è uno che lascia il segno, difficile da dimenticare come persona, personaggio e personalità. Gli esperti di comunicazione hanno provato a decifrarlo, con risultati più o meno deludenti. C’è stato il periodo del “qualunquista”: “Non so cosa voglia dire”, si stringeva nelle spalle, “sarà per questo che lo sono”. Il problema peggiore dell’epoca era proprio quello in oggetto: tutti lo erano, e nessuno lo sapeva. Ma la verità è che nessuno sarebbe mai uscito allo scoperto: il qualunquista è proprio l’indifferente, che quando lo accusano fa spallucce e tira dritto. Perché la verità è che non gli importa niente… di niente.
C’è Celentano: il rapporto con la religione
A una cosa però ci ha sempre tenuto: Dio. “Sono molto religioso”, ammette in un filmato d’epoca. C’è Celentano mette insieme diversi spezzoni: “Ecco cosa succede: io mi diverto a cantare, fare il cinema… già che mi diverto, voglio farlo al meglio. Non come Claudio Villa, che dice cose senza senso”. Lui invece è un moralista. Si pensi a Chi non lavora non fa l’amore, più del semplice inno di una moglie indisposta. È la protesta rispetto a una protesta: basta scioperi, ché insieme al lavoro perdete la famiglia. Celentano è sempre stato un grande predicatore (silenzi inclusi): “Le idee vengono dall’alto. Ma o vengono dall’alto, o vengono da un altro, fatto sta che le idee ce le ho io”. E ne dispone come vuole, un po’ come l’imperatore (nomen omen) con la forza di “definire il mondo”. Lo insegnava già Gaber, un altro dei membri storici del Clan: certi cantanti, a suon di parole in musica, sono dei veri e propri opinion leader.
Gli amici
Il biglietto d’auguri di C’è Celentano è firmato da una decina di amici. C’è Massimo Moratti, ad esempio, che con lui condivide la fede calcistica. Neanche a dirlo, Adriano è un interista sfegatato: “Ricordo ancora quella volta allo stadio San Siro”, inizia l’ex presidente, “le luci spente, e le prime note della tua canzone…”. Fu un momento davvero suggestivo. È il potere della musica, occasione d’incontro ancor più dello sport. Ne sa qualcosa il rapper J-Ax: “Di solito si dice: ‘Vorrei invecchiare come lui’. Io dico: ‘Vorrei essere come lui’. Perché è meglio essere Celentano a 81 anni che ‘influencer di marchette’ [sic!] a 21”. La palla passa a un coetaneo: Lino Banfi. L’attore pugliese, non troppo convinto, si esibisce in un’inedita versione di Una carezza in un pugno. La “lingua” è quella di Canosa: incomprensibile. Almeno quanto è “incomprensibile” Prisencolinensinainciusol, la canzone in quell’inglese maccheronico che consacrò Adriano a “genio sregolato” del rock ‘n’ roll e non solo.