Archiviata la carriera di magistrato, Livia Pomodoro si è dedicata ad un altro sogno, quello di sua sorella Teresa: il teatro. Un passaggio avvenuto dunque per una verità legata alla memoria. «Ho deciso di continuare nella sua opera è stata perché secondo me mia sorella ha rappresentato e ha sognato un’utopia alla quale si è dedicata per tutta la vita: rendere l’arte disponibile a tutti, senza differenze di censo, senza differenze di alcun tipo, soprattutto economiche», ha raccontato in un’intervista a Euronews. Non è stato facile per lei che di teatro non sapeva nulla, ma si è applicata e ha lavorato con grande determinazione. «Adesso se qualcuno mi parla di teatro deve vedersela con me». La magistratura non le manca: «Io ho fatto con grande coerenza, con grande dedizione il mio lavoro, ho avuto anche grandissime soddisfazioni perché… va bene, ho fatto anche una grandissima carriera, tenga conto che ho fatto una grandissima carriera al femminile, quando in magistratura non c’erano ancora le donne». (agg. di Silvana Palazzo)
LIVIA POMODORO A LE RAGAZZE
Livia Pomodoro, giurista italiana nonché ex presidente del Tribunale di Milano sarà tra le protagoniste della nuova puntata de Le Ragazze, in onda stasera sulla terza rete di casa Rai. Il suo ingresso in magistratura avvenne nel 1965 all’età di appena 24 anni. Nata e cresciuta nella sua Molfetta, in una famiglia abbastanza numerosa, Livia è insieme alla sorella gemella Teresa la più piccola di tre fratelli maschi. Il padre era farmacista ed un uomo molto “intelligente, visionario, ospitale”, come raccontò lei stessa in una intervista di qualche tempo fa rilasciata a Repubblica. Tutte caratteristiche che non potevano certo andare d’accordo con il fascismo: “Ho avuto un’infanzia bella, nonostante sia nata in piena guerra. Ricordo vagamente il podestà. Un uomo duro e fanatico. Prese di mira papà imponendogli i turni di notte”, raccontò. Nonostante questo però il padre non perse mai il sorriso. Crescendo intraprese dapprima lo studio di biologia, poi uno zio magistrato la convinse a passare a legge: “Mi laureai in diritto privato internazionale. Dietro quella scelta c’era la convinzione che i diritti umani sono la nostra conquista più importante”. Livia ama definirsi una giurista che ha sempre creduto fermamente nelle regole, quelle condivise. E sulla base di quelle stesse regole e di ideali fortissimi (a partire dalla competenza) entrò in magistratura.
LIVIA POMODORO, IL MAGISTRATO CON L’AMORE PER IL TEATRO
Per 50 anni Livia Pomodoro ha lavorato instancabilmente, senza mai pentirsi neppure per gli errori commessi. “Ogni decisione è stata vissuta da me con responsabilità. Da questo punto di vista, rivendico perfino gli errori, perché sono stati commessi in buona fede”, ha ammesso a Repubblica. Gli anni più difficili sono arrivati quando ha deciso di chiudere la sua carriera di magistrato. Da quel momento ha iniziato a dedicarsi al teatro. Oggi infatti è presidente del Teatro No’hma. Una passione nata grazie alla sorella Teresa e che si fortificò ulteriormente in seguito alla sua morte avvenuta nel 2008. “E’ stato l’ultimo dono che mi ha fatto”, le piace pensare. Forse proprio per via della sua vita frenetica, Livia scelse di non avere figli. Una delle motivazioni è legata all’arrivo nella sua vita di un uomo e del matrimonio quando ormai non era più molto giovane. Eppure, ammette, ogni volta che ha risolto un caso su un minore si è sentita in parte un po’ madre. Le nozze arrivarono nel 1978 ma dopo appena 10 anni giunse anche il divorzio: “Riconosco che fare il “principe consorte” con una come me era complicato”, ha ammesso. Sulla paura di morire ha invece asserito di non averne mai provata: “So che tutti dobbiamo morire e ogni giorno può davvero essere l’ultimo, può essere la tua apocalisse. Ma questo a me dà serenità non paura”.
LIVIA POMODORO E LE STRAGI DI MAFIA
Livia Pomodoro è considerata oggi una delle protagoniste indiscusse della storia repubblicana, poichè ha vissuto alcuni dei momenti più difficili e complessi per l’Italia, come quello del terrorismo e delle stragi di mafia. Quando Cosa nostra trucidò Giovanni Falcone, la moglie Francesca e i ragazzi della scorta, la Pomodoro era capo di gabinetto del ministro di Grazia e Giustizia. Furono per lei mesi difficilissimi, poichè visse da vicino il duro colpo accusato dallo Stato ad opera della mafia. “Giovanni mi convinse ad accettare l’incarico. Il ministro Claudio Martelli voleva creare una direzione nazionale antimafia, una anticorruzione, una per le forze di polizia… gli serviva una persona competente. Tentennavo, Falcone mi telefonò: “Arrivo anch’io, lavoreremo bene insieme”. Accettai e furono anni durissimi. Alla 8 di mattina il presidente Cossiga mi tirava le orecchie se non avevo già letto i giornali. Martelli rimproverò me e Falcone di andare troppo spesso a colazione dal Presidente”, ha commentato in una intervista al Corriere della Sera. Dopo un incidente che la costrinse in carrozzella, Falcone settimanalmente le affidava i dossier: “Se sono da te, sono più tranquillo”, le diceva. “L’ultimo maledetto venerdì disse: “Vado a pescare il tonno”. “Faresti meglio a riposarti” risposi, e partii per Milano con Liliana Ferraro, sua vice, che sarebbe stata mia ospite. La notizia ci travolse nel pomeriggio”, ricorda la giurista. Quindi il ritorno a Palermo, dove qualche giorno dopo Maurizio Costanzo mandò in onda una puntata del suo programma, insistendo affinché ci fosse anche lei. Livia a sua volta decise di esserci ma di seguire dalla platea. “A un certo punto si spensero le luci e illuminarono me. Costanzo cominciò a farmi domande. Tornando in aereo, Martelli disse: “Quella scena rimarrà impressa nella memoria”, ha ricordato. Eppure proprio quell’episodio la costrinse a restare reclusa nel ministero, sotto protezione speciale per due mesi. Seguì la tragica uccisione di Borsellino: “La notte lavorammo all’inasprimento del 41 bis, firmato sul cofano della macchina del ministro”.