Siamo in Puglia, nei pieni anni ’70. Matteo e Francesca si amano, ma a lei la vita provinciale sembra andare molto stretta. È il momento di partire per scoprire cosa il mondo offre, abbandonando le chiuse prospettive di paese ma anche la sicurezza degli affetti e dell’amore di Matteo. Per quest’ultimo inizia una vita di nostalgica sofferenza, con il pensiero sempre rivolto all’amore perduto. Ma dopo quattro anni Francesca torna, e forse l’amore può risbocciare, regalando la piena felicità di una vita insieme. Ma purtroppo, dopo la gioia del tanto sospirato incontro, non tutto sembra tornare come prima.



Ebbene sì. L’impresa è riuscita. E non era facile. A propria disposizione la produzione aveva le indimenticabili canzoni di Lucio Battisti, genio indiscusso della canzone italiana, e la solerte collaborazione di Mogol, che molte di quelle canzoni le aveva scritte. Un patrimonio prezioso da maneggiare, valorizzare e riproporre alle nuove generazioni. L’impresa è riuscita, al contrario. Il risultato è raggelante. 



Il film Un’avventura riesce a distruggere la poesia musicale del cantautore attraverso immagini banali, rappresentazioni scontate e interpretazioni imbarazzanti. Il viaggio emotivo che le canzoni di Battisti erano in grado di stimolare si appiattisce in un accrocchio di scene didascaliche a cui il pubblico non sa come rispondere, se ridendo o piangendo.

La trama è rigorosamente costruita per il giorno di San Valentino. Amore che va, amore che viene. Le gioie dell’amore e le sofferenze dell’assenza. Il sogno di riconquistarla, la vita insieme, l’amante, la chance che non puoi perdere, il primo amore non si scorda mai, canta che ti passa, la speranza è l’ultima a morire, chiodo scaccia chiodo, baci. E ancora, dieci ragazze per me posson bastare. Ti stai sbagliando chi hai visto non è, non è Francesca. No, non sarà un’avventura. E non lo è davvero.



L’effetto straniante è ridicolo. La ricchezza immaginifica della creazione d’autore si forza nel chiuso di una sceneggiatura serva dei testi delle canzoni e inevitabilmente soffocata nell’ovvio. Molto meglio lasciar spazio alle proprie vite reali, alle proprie storie, alle proprie sofferenze, alle proprie morali ed evitare i facili suggerimenti che Un’avventura ci propone, sfiorando il grottesco.

Se invece è la leggerezza della commedia romantica stile Moccia (piuttosto che la celebrazione dell’artista) a guidare l’operazione, beh, allora tutto sembra essere al suo posto. Certo è che, negli ultimi decenni cinematografici, film come Mamma mia!, Across the Universe o anche di recente, seppur in modo diversamente biografico Bohemian Rapsody avevano alzato le aspettative, regalandoci emozioni, divertimento e ricordi indelebili. Esempi tanto interessanti da farci rabbrividire una volta in più dopo la visione di quest’opera sfortunata e scolorita che nemmeno lascia in testa il piacevole canticchiare del dopo film.

Lasciamo dunque il musical a Hollywood, o a Bollywood. Il cinema italiano è già spesso così poco credibile, che la sfida di esplorare tutti i generi cinematografici non pare né necessaria, né auspicabile.

“Mi sembra di aver finito i sogni”, dice il protagonista. Lo stesso che possiamo dire noi, di fronte a questa fiction surreale da prima serata Rai che si spinge perfino più in là, nella sfida contro l’impossibile, tentando di coreografare qualche canzone, con la celebrata firma di Luca Tommassini che fa muovere qua e là corpi statici dietro agli eroi di questo ricettario dell’amore adolescenziale, campionario di banalità e frasi Perugina.