Gary Hart è stato un Senatore democratico del Colorado. Negli anni ’80 era il candidato favorito per le Presidenziali americane. Un uomo comunicativo, appassionato, convincente, nonostante la sua incuranza per le formule elettorali preconfezionate. Forte della sua verità pubblica, è stato l’uomo da temere e da battere. Nel tour de force della campagna elettorale, Hart ha ceduto però ai piaceri della carne, tradendo la fiducia della sua famiglia e dei suoi elettori. La storia ha poi registrato la vittoria del repubblicano Reagan. 



Intrighi, potere, corruzione, scandali. La cavalcata di un politico verso le elezioni presidenziali. Un tema ricorrente nel cinema americano, denso di stereotipi e luoghi comuni. The Front Runner non si discosta di tanto da tutto questo, anche se ha il merito di volgere lo sguardo verso una prospettiva storica, interessata più al ruolo della stampa che alle vicende personali del protagonista.



La buona politica fatica a esistere, ma la cattiva stampa certo non la favorisce. In una generale perdita di legittimità, riconosciuta al giornalismo, la sostanza politica tende a confondersi con il gossip. A contare sempre più è l’umanità quotidiana del candidato, raccontata secondo i bisogni del pubblico che cerca corrispondenze o dissonanze con la propria vita.

Certo è che per essere un buon politico bisognerebbe anche essere un brav’uomo, ma per esserlo sembra contare solo e soltanto la sua rappresentazione mediatica. Lo sei, se ti raccontano così. Al debole interesse per il bene pubblico si sostituisce, nel clamore diffuso del relativismo giornalistico ed esistenziale, il tribunale del popolo, severo feticista delle umane debolezze.



Trascinati dall’irresistibile richiamo dei lettori, i “giornaloni”, come ultimamente li chiamiamo in Italia, si adattano alle buone pratiche dei tabloid scandalistici perché in fondo è quello che conta, per esserci. Il rispetto per la verità si annebbia di fronte alle luci della ribalta politica, trasformata in divismo hollywoodiano.

Il potere di contare è condiviso, spezzato, fortuito, incontrollabile o controllato, ma da altri. Non certo dall’opinione pubblica che domina imperterrita ma senza davvero dominare. Nel caos generalizzato, l’opzione più probabile è che venga eletto dal popolo il leader che il popolo si merita.

Questa la cruda verità degli anni ’80, che risuona impietosa nella storia contemporanea.

The Front Runner si fissa là, negli anni del passaggio dalla politica allo spettacolo politico, dall’impegno imperfetto al disimpegno mascherato, dal bene comune al male collettivo. E, a distanza di decenni, la situazione sembra oggi fuori controllo poiché a ogni verità ne corrisponde sempre un’altra, altrettanto vera e contrapposta. 

Gary Hart (ben interpretato da un misurato Hugh Jackman), animato da un sincero spirito di servizio, è caduto nella tentazione carnale, perdendo l’integrità e la partita più importante, lasciando aperta la strada a Ronald Reagan, il Presidente attore. È storia. Una storia costruita dalle frenetiche redazioni giornalistiche, dalle animate segreterie politiche, dalle ingiuriose battaglie personali senza esclusioni di colpi, dagli agguerriti appostamenti dietro ai cespugli della privacy e dalle complicate e sofferte decisioni dei protagonisti e delle loro famiglie, coinvolte anch’esse nel turbine mediatico. 

Un film frenetico, a tratti avvincente nel suo “dietro le quinte” presidenziale, ma tutto sommato prevedibile.