Dopo aver parlato del suo primo film, è giusto chiudere la carrellata delle opere di Carlo Vanzina con la sua ultima, datata 2017. Dopo Caccia al tesoro il regista romano sperava di poter girare anche Natale a 5 Stelle, ma non gli è stato possibile farlo, la malattia se l’è portato via prima. Non possiamo certo quindi parlare di un film-testamento, anche se per certi versi lo è.
Caccia al tesoro, infatti, è una commedia, di certo non volgare, il che dovrebbe far capire una volta per tutte che Vanzina non è sinonimo di cinepanettone. Il fatto di aver diretto alcune pellicole della coppia Boldi-De Sica e il primo Vacanze di Natale non può certo giustificare tale equazione. Ci troviamo a Napoli, dove Domenico (Vincenzo Salemme), un attore di teatro piuttosto indebitato (anche per via della sua trovata di proporre “L’avaro” di Molière in napoletano), per consentire al suo nipote dodicenne di poter essere operato negli Usa, avrebbe bisogno di un bel po’ di soldi. Ci vorrebbe un miracolo, proprio nella città di San Gennaro. Anzi, basterebbe una singola pietra preziosa della mitra facente parte del suo tesoro. L’uomo, insieme alla sorella (Serena Rossi), sente persino il Patrono dar loro il permesso di compiere il furto.
Quella voce viene però udita anche da Ferdinando (Carlo Buccirosso), accorso a pregare in chiesa in cerca di una grazia, visto che non sa come pagare gli alimenti all’ex moglie e rischia di non poter rivedere il figlio. E così Domenico si trova, sotto ricatto, a diventare “socio” di Ferdinando in questo colpo, che li porterà fino a Torino e Cannes, passando anche all’allargamento della “società” a Cesare e Rosetta, interpretati da Max Tortora e Christiane Filangieri, ladri giunti da Roma per rubare il tesoro di San Gennaro.
Come detto, Caccia al tesoro non è il “testamento” di Vanzina, eppure ci troviamo tanto di lui. Non solo la citazione di Operazione San Gennaro, film diretto da Dino Risi, altro maestro della commedia italiana al pari del padre Steno (non è quindi un caso che a dirigere il “postumo” Natale a 5 Stelle ci sia Marco Risi, figlio di Dino), ma anche un richiamo a Febbre da cavallo (film del padre di cui ha girato il sequel) e al suo In questo mondo di ladri. Nel film si parla di teatro, quel luogo da cui tutto – la commedia, il cinema – viene. C’è la commedia degli equivoci. E anche l’epilogo a Cannes sembra indirettamente richiamare la settima arte.
Il film risulta godibile e brilla senz’altro la coppia formato da Salemme e Buccirosso, con il primo che è ben più della “macchietta” cui cerca di ridurlo Fabio Fazio quando lo chiama al suo tavolo televisivo.
“In fondo la vita è come il teatro, voci di fuori, voci di dentro, è tutta una finzione. Però come in teatro, anche nella vita, le cose finte possono diventare vere”. Sono le ultime parole del film, pronunciate da Domenico. Vale lo stesso anche per le commedie del cinema. Sono finzione, ma spesso dicono molto di noi, della vita e, perché no, a volte ci si può ritrovare in situazioni che somigliano a un film.